È possibile perfezionare ulteriormente i computer, infondendo in essi la coscienza? Subito la risposta: se la coscienza fosse questione di segnali elettrici o biochimici, ciò sarebbe possibile; il punto è che la coscienza – e, con essa, l’uomo – non è riducibile a un fenomeno fisico. Circa a metà di Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Federico Faggin, uno dei pionieri della rivoluzione informatica tra gli inventori del microprocessore, spiega esattamente cosa si dovrebbe intendere per coscienza.
Riporto questa definizione semplificandola leggermente: la coscienza è lo spazio semantico interiore dove i segnali provenienti dal mondo fisico ed elaborati dal cervello assumono la forma di sentimenti, sensazioni e significati, ossia di “qualia”. Se i computer, gli automi e gli zombie dei racconti fantastici si limitano a cogliere ed elaborare i segnali, gli esseri umani fanno qualcosa di ulteriore, traducendo il segnale in “quale”. Con questa traduzione, si passa dal livello della fisica classica al livello della fisica quantistica.
I qualia sarebbero infatti dei fenomeni quantistici, ed è per questo che ci risulta così difficile misurarli. Prima ancora, ci risulta difficile provarli! A differenza dei fenomeni fisici classici, quello dei qualia e della coscienza non è osservabile dall’esterno. Uno zombie o un’AI potrebbe affermare di essere cosciente, e nessuna misurazione potrebbe provare il contrario. Forse, solo un essere veramente cosciente potrebbe intuire che c’è qualcosa che non va. Si tratterebbe appunto di un’intuizione, più complessa di una misurazione, limitata – quest’ultima – al livello fisico e dall’esito essenziale: “sì”, “no”; “vero”, “falso”; “1”, “0”.
Un essere umano non semplifica, non riduce: dubita. Per di più, è dotato del cosiddetto “sesto senso”, del subconscio, un livello ancora più misterioso di quello “conscio”/della coscienza. Per capire quanto siano vitali le intuizioni, si pensi alla vicenda di Stanislav Petrov, che il 26 settembre 1983, assecondandone una, evitò lo scoppio della terza guerra mondiale. In quell’occasione, i satelliti segnalavano un attacco di missili atomici USA contro l’Unione Sovietica, ma Petrov non comunicò nulla ai suoi superiori: “Ero un analista, ero certo che si trattasse di un errore, me lo diceva la mia intuizione”.
E se invece, al suo posto, ci fosse stato un militare addestrato a obbedire senza discutere? O, peggio ancora, se ci fosse stato un robot? Un robot che (e)segue l’istruzione condizionale “if this, then that” senza lasciare spazio a dubbi…? Perché è così che funzionano le macchine, i computer: nel loro linguaggio – quello booleano –, non è contemplata nessuna complessità o ambiguità. È un linguaggio che adotta un alfabeto di sole due “lettere”, d’altronde… anzi, numeri (lo 0 e l’1). Di più: i computer non contemplano… non colgono i significati di ciò che pure possono comunicare.
Siamo noi a dare significato nella nostra coscienza a ciò che nel computer esiste solo come simboli. Lo stesso avviene quando traduciamo in esperienza le parole stampate di un libro.
Per capire meglio che differenza c’è tra noi e le macchine, che differenza c’è tra lo stato di coscienza e quello di incoscienza, pensiamo che anche noi, talvolta, ci comportiamo in maniera meccanica, seguendo degli automatismi. Ci comportiamo da “automi” quando “meccanicamente” ripercorriamo la strada verso casa, senza pensare alla direzione da prendere di volta in volta. Ci comportiamo da automi quando siamo sonnambuli… Ci comportiamo da automi, insomma, quando non siamo presenti a noi stessi: come te, che mentre leggi meccanicamente, potresti non tradurre in significato, in esperienza, le mie parole (invece ci sei, vero?!).
Il punto è che chiunque, tra gli esseri umani, potrebbe testimoniare che c’è una bella differenza, tra l’essere coscienti e il non esserlo, o meglio nell’avere la coscienza quiesciente (stato momentaneo). … la coscienza può comportarsi come un supervisore attento, che tiene d’occhio tutto ciò che succede e interviene solo quando capisce che i processi automatici potrebbero essere inadeguati alla situazione. Gli automatismi sono efficaci quanto gli atti intenzionali, voluti, creativi, e di solito anche più efficienti, veloci. Quando si tratta di risolvere problemi, sono l’ideale. Ma nessuna macchina è in grado di porne uno solo, di problema (lo diceva Einstein, quasi esattamente in questi termini!).
Nemmeno i computer quantistici possiedono una creatività, essendo anch’essi deterministici (p. 81 di Irriducibile, per approfondire). Facendo uno step ulteriore, potremmo concludere che la coscienza – che la scienza non ha mai spiegato, e che la tecnica non è mai riuscita a replicare – non è altro che l’anima. O, quantomeno, è una sua manifestazione. Le teorie fisiche non sono complete e rimarranno incomplete fin quando ci si ostinerà a soffermarsi sul mondo materiale.
Esiste, oltre a ciò che vediamo e che tocchiamo, un mondo meta-fisico, oltre il fisico, invisibile, spirituale, ma non per questo meno vero. Lo spunto ideale, a tal proposito, viene proprio dalla sinossi del nuovo libro di Faggin, Oltre l’invisibile. Dove scienza e spiritualità si uniscono: “È necessaria – propone l’autore – una nuova scienza che includa la spiritualità e una nuova spiritualità che includa la scienza. Ho chiamato Nousym la loro unione”.
Un altro scienziato, Hawking, avanzò anni fa una proposta simile: costruire una teoria unificata completa in grado di dare una spiegazione a ogni cosa. “La ricerca di una tale teoria viene indicata come ‘l’unificazione della fisica’”. La “teoria unificata”, la “teoria del tutto” è quella formulata dai fisici e dai meta-fisici (filosofi) insieme. Gli informatici con l’AI, in quest’ultimo periodo, non hanno fatto altro che ribadirne la necessità (Fonte foto: Imagoeconomica)
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