Da un’idea di don Samuele Pinna ha preso vita “Dietro le quinte”, una rubrica senza periodicità che vuole incontrare quei personaggi importanti che lavorano per il bene e non sempre appaiono in prima fila, ma appunto sono spesso “dietro le quinte”. Oggi l’incontro con don Massimiliano Sabbadini, sacerdote ambrosiano, attuale responsabile della Pastorale Famigliare
Quando fa capolino la bella stagione, nella pianura padana che si raccoglie intorno a Milano e si spinge fin quasi a lambire il varesotto e il lecchese si possono vedere in azione migliaia di ragazzi che si ritrovano in oratorio per il tempo estivo. Non è particolarità solo lombarda, ma diffusa in tutta la penisola. Ne voglio parlare con don Massimiliano Sabbadini, sacerdote ambrosiano dal corposo curriculum a motivo degli importanti incarichi affidatigli dalla sua Arcidiocesi e dalla Chiesa italiana (e non solo).
Egli è stato, tra l’altro, fondatore e primo Presidente del Forum Oratori Italiani, oltre che Responsabile della Pastorale Giovanile e Direttore della Fondazione Oratori Milanesi. La presenza degli oratori in molte comunità cristiane dice il desiderio di aggregazione, insopprimibile anche nella nostra epoca segnata dall’individualismo, dove il bisogno d’incontrarsi, di stare insieme e di accrescere le relazioni amicali non si è sopito né è stato totalmente soffocato: «L’oratorio rimane ancora un punto di riferimento per le nuove generazioni e per le loro famiglie per annunciare e sperimentare i valori evangelici: san Giovanni Bosco voleva che i suoi figli spirituali fossero “buoni cristiani e onesti cittadini”, perché i buoni cristiani si riconoscono anche da come si comportano nella società». Non a caso (e anche grazie agli sforzi di don Massimiliano), in Italia è stata riconosciuta giuridicamente la funzione sociale ed educativa dell’oratorio: «Sì – mi viene confermato –, successivamente ad alcune leggi con valenza regionale, è stata emanata una norma legislativa nazionale dal Parlamento nel 2003. Tale legislazione non stabilisce, però, come debbano essere gli oratori, ma riconosce i frutti e l’importanza del lavoro che essi svolgono sul territorio nazionale».
San Giovanni Paolo II ha coniato una suggestiva definizione: l’oratorio è “un ponte tra la Chiesa e la strada”: «Sì, e sviluppando lo spunto di papa Wojtyła possiamo dire che l’oratorio è innanzitutto un po’ Chiesa, dove il suo nome – inventato da san Filippo Neri nel XVI secolo – dice la sua essenza, ossia essere “luogo della preghiera”. In quest’ottica, esso è sorretto da una comunità credente capace di educare secondo i dettami del Vangelo e mediante molteplici iniziative – il più possibile organizzate, coordinate, pensate, ben distribuite nelle attitudini e nei ministeri – in vista del servizio dello sviluppo umano e cristiano dei più giovani. Per questo l’oratorio è anche un po’ casa, dove si respira un’aria familiare e dove i ragazzi si devono sentire protagonisti, sostenuti in questo dalla presenza coscienziosa dei più grandi. Ma è anche un po’ scuola in cui imparare a essere cristiani attraverso il catechismo che consente di comprendere la propria fede e a condividere quanto si ha – e si è – con gli altri in modo fraterno. Infine, è anche un po’ strada, il che vuol dire in senso positivo l’informalità che nasce dal bisogno di libertà dei ragazzi che non dev’essere soppresso, bensì dev’essere incanalato nella direzione giusta per consentire un’esistenza spesa per il bene proprio e altrui». Aggiungo: non si deve, quindi, smarrire la sua identità e le sue caratteristiche a scapito di alcune presunte novità prive di tenuta nel lungo periodo: «Il più forte fattore di novità negli oratori in questi anni è… che non cambiano! O, meglio, nel cambiamento diventano e rimangono sempre più se stessi».
M’interrogo. Questo luogo aggregativo sovente ubicato all’ombra del campanile può essere il modo quotidiano per incarnare la vicinanza della Chiesa alle famiglie, là dove vivono i figli, mediante la passione educativa di una comunità che vuole prendersi cura dei più giovani? «Deve esserlo – è la ferma risposta –! Non esiste l’oratorio senza chi lo fa: esso diventa l’ambito in cui si dà appuntamento a uno spettacolo bellissimo di un generoso volontariato. All’oratorio nessuno è cliente, non ci si ritrova per acquistare qualcosa o comprare un’esperienza, ma per stare assieme agli amici e per crescere insieme nella gioia cristiana, donando ciascuno il proprio apporto». Queste parole sembrano richiamare il leit motiv della canzone di Elio e le Storie Tese intitolata per l’appunto Oratorium: «Ricordo – confida don Massimiliano – che hanno composto il testo di quel brano sulla scrivania del mio ufficio».
Se il mondo del virtuale da una parte rischia di isolare i ragazzi, dall’altra svolgere solo attività programmate può spegnere l’entusiasmo, facendo perdere la letizia di momenti spensierati e la creatività di quello che una volta veniva chiamato “tempo” o “gioco libero”. Al contrario – mi viene spiegato –, «l’oratorio, grazie a una modalità flessibile, diversificata, articolata e contagiosa, può indicare anche oggi una strada educativa a beneficio dei bambini, degli adolescenti e persino degli adulti, senza chiudere gli occhi davanti ai mutamenti della nostra epoca».
Ascoltare don Massimiliano è un’esperienza unica e non soltanto a motivo della sua indiscutibile arte oratoria, ma soprattutto per la passione che mette in quello che fa nel suo ministero. Sono edificato nell’aver compreso come l’oratorio abbia ancora mille possibilità di espressione per il bene dei ragazzi e delle loro famiglie. Chiedo se davanti ai cambiamenti in atto così vorticosi gli oratori abbiano ancora qualcosa da dire, riuscendo a trasmettere i valori cristiani: «La tentazione nostalgica è sempre in agguato: “non ci sono più gli oratori di una volta…”. E infatti ci sono quelli di adesso, dove il Vangelo è esplicitamente messo in gioco nelle situazioni di vita che si sperimentano in questa bella realtà educativa: la relazione con gli altri, l’impegno, il gioco e lo sport, l’apprendimento culturale, la dimensione spirituale ed ecclesiale, la conoscenza e il rispetto delle diversità, la palestra delle responsabilità educative e sociali, il dialogo tra le generazioni, la forza e la bellezza della preghiera, la tensione vocazionale. Tutto ciò si propone continuamente nella forma delle varie sfide educative, tutte da affrontare serenamente e seriamente, non contando solo su certezze date per acquisite, ma con la lungimiranza, il coraggio e la pazienza di riflettere, progettare, sperimentare, verificare e correggere. Oggi, ad esempio, mi sembra particolarmente urgente il nuovo equilibrio da offrire alle giovani generazioni (e non solo a esse…) tra comunicazione cosiddetta virtuale e ambiente reale, tra frequentazione social e relazione a tu per tu e comunitaria. Non pochi oratori stanno ben lavorando in questo senso ed esiste anche un’Associazione nazionale sorta in proposito (LabOratorium). Un’altra grande sfida, permanente, è quella di stanare il bisogno di senso che sta nel profondo di ogni ragazzo e giovane e di nutrirlo al fuoco del Vangelo, in tutti i modi possibili e di cui l’oratorio può e deve essere come un tesoro cui attingere, tra “cose antiche e cose nuove”».
Nondimeno, il discorso si sposta gioco forza sul valore della famiglia, anche perché don Sabbadini è attualmente il Responsabile Diocesano della Pastorale Familiare. Eppure tale istituzione sembra in crisi in Occidente per diversi motivi e per pressioni ideologiche: come rispondere alle provocazioni? «Ideologie e lobbies organizzate tentano di minare alla radice l’idea e la realtà della famiglia fondata sull’unione stabile e pubblica tra un uomo e una donna aperti alla generazione e all’accoglienza di figli. La risposta è innanzitutto nei fatti: dove le famiglie “tradizionali” godono di fiducia diffusa e perciò vengono anche riconosciute e sostenute, esse rappresentano un formidabile e creativo presidio di umanità capace di accogliere e promuovere tutti. Quante storie si potrebbero narrare di legami famigliari veri e forti, che attraverso mille difficoltà reinventano costantemente la cura della vita, l’accoglienza delle diversità, la difesa delle fragilità, la fiducia verso il futuro, la trasmissione della memoria, la bellezza rigenerante del perdono, la generosità dell’impegno educativo e sociale, la novità del rapporto tra le generazioni, lo sguardo spirituale sugli affetti e sulle relazioni, la concretezza delle fatiche e la letizia della gratuità, la custodia di un mistero d’amore. Molto c’è da fare però sul piano culturale e sociale, dove questa narrazione è carente e si rischia di essere inglobati nel mainstreaming corrente. È questo il compito di cristiani convinti impegnati nella politica e nelle istituzioni, per consentire alle famiglie di esprimere e di vivere con libertà ciò che sono e ciò che fanno. Prendiamo ad esempio il tema tanto urgente della natalità: oggi chi non vuole avere figli è completamente libero in questa scelta, mentre non lo è affatto chi i figli li desidera. La nascita di un figlio è oggi in Italia tra le prime cause del passaggio alla soglia di povertà di numerose coppie afflitte dalla scarsa retribuzione del lavoro o dalla sua mancanza e dall’assenza di adeguati provvedimenti economici e fiscali. Anche nella Chiesa occorre forse un passo più deciso nell’annuncio a tutto campo della bellezza del Matrimonio cristiano, visto che moltissimi giovani anche credenti non lo scelgono, probabilmente perché semplicemente lo ignorano o perché ne hanno una percezione limitante, asfittica e stantia».
Il “problema famiglia” si collega ad altre tematiche, come quello della formazione: «“Formazione” è oggi una di quelle parole “magiche” cui si annettono soluzioni alla gran parte dei problemi. Il rischio è che tutti la invochino pretendendola da altri! Mi sembra utile in proposito ricordarci che non esiste efficace formazione se non dentro il grande orizzonte dell’educazione, che ci coinvolge tutti in prima persona. E che è una formidabile e permanente avventura! In questo senso tutti i temi, gli ostacoli e i pericoli delle culture contemporanee sono da affrontare con serietà e serenità, come sfide dentro le quali sempre misurarci e crescere, guidati dalla nostra coscienza illuminata dal Vangelo, davanti al quale stare costantemente in umile e assetato apprendimento. In altre parole, non avremo mai finito di educarci e di educare a essere discepoli e testimoni della Verità fatta persona, del compimento di ogni aspirazione dell’umanità nella sequela del Signore e Maestro, nella rivelazione del Figlio di Dio Padre di tutti. Tutto ciò non avviene con proclami altisonanti o con campagne integraliste, mentre si comunica piuttosto con la veritiera consuetudine di vita personale e comunitaria dei cristiani».
A proposito, il cardinal Martini in un Messaggio per l’annuale Festa di apertura degli Oratori – al quale don Massimiliano poté direttamente collaborare –, ha usato un’espressione che colpisce: «C’è bisogno di uomini e donne, più o meno giovani, che siano per i ragazzi veri amici e cioè veri modelli di vita; che siano educatori semplici e concreti, normali, lieti e costanti, che siano soprattutto innamorati di Gesù Cristo!». Glossa il sacerdote davanti a me: «Mi sembra un vero proprio programma di vita da attuare negli attuali tempi difficili!». Si ritorna così al punto iniziale, parlando ancora dell’oratorio: la grandezza ancora visibile nelle parrocchie è la capacità di aiutare le nuove generazioni a superare ogni ostacolo, nella consapevolezza che si deve andare oltre: non sono tanto o non solo le attività che contano, ma soprattutto la fede: «Si tratta di dirigersi verso quell’Oltre dal quale viene ogni bene e che fa della Chiesa una madre capace di crescere i suoi figli».
Scruto ancora il mio interlocutore. Mi pare che per lui non passi mai il tempo: da tanti anni presbitero ma ancora giovanile nell’aspetto, molto alla mano e attentissimo ai particolari (caratteristica di ogni buon educatore), profondo, empatico e capace di trasmettere serenità. Gli lascio l’ultima parola: «C’è un passo del profeta Isaia che mi ha particolarmente catturato qualche tempo fa e che sento capace di trasmettere uno sguardo alternativo, foriero di speranza, sull’umanità che ci appare attualmente in rovina e dalla quale probabilmente ci sentiamo tutti tentati di fuggire, se fosse possibile, magari su un altro utopico pianeta. Raccogliamo invece dal Signore della storia e del mondo la visione e la sfida:
“Ti guiderà sempre il Signore,
ti sazierà in terreni aridi,
rinvigorirà le tue ossa;
sarai come un giardino irrigato
e come una sorgente
le cui acque non inaridiscono.
La tua gente riedificherà le rovine antiche,
ricostruirai le fondamenta di trascorse generazioni.
Ti chiameranno riparatore di brecce,
e restauratore di strade perché siano popolate” (58, 11-12)».
Colpito dalla citazione, sento ancora l’incoraggiante invito di don Massimiliano Sabbadini: «Avanti! Insieme, a “riparare brecce” e a “restaurare strade”. Che siano popolate è il sogno e il compito della Chiesa!».
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