Per gentile concessione dell’Editore, pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Lisa Zuccarini, Almeno Credo (Cantagalli, 2024).
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La comunicazione commerciale che mi interessa infilarvi nel retrocranio appena sotto il messaggio subliminale che impone a tutti noi l’acquisto di detergenti per la casa (non ne abbiamo mai abbastanza, vacci a capire), è questa: credere alle implicazioni di Dio con le faccende umane conviene. Il cielo va a pieno regime, produce sempre la stessa roba di alta qualità da secoli, c’è da fidarsi. E poi al detergente che non lascia aloni e puntualmente invece li lascia continuiamo a dare fiducia, manco la nostra felicità dipendesse dallo splendore dei fornelli (anche se averli opachi snerva parecchio), invece a Uno che vuole salvarci l’anima gli diamo picche. Non può essere.
La fregatura vera sono quelli che hanno tanti soldi da investire per pubblicizzare ciò che cielo non è: registi, cantanti e case discografiche, il salotto della Toffanin. Alla fine della fiera loro dicono tutti la stessa cosa: Dio è buono per tatuarsi due croci sulle braccia, il resto è noia. Se lo dice la comunicazione di massa dovrà pur essere vero, o no? Ma ’sta specie di oracolo 2.0 che si precipita a mettere il microfono sotto il muso del vicino di casa del pluriomicida, ravanando tra i nervi scoperti della suora scappata dal convento, amplificando ogni canzone che esalti il cinismo della vita e scendendo a conclusioni pure per noi, i mass media dico, osservano tutto in macro senza lente di ingrandimento.
A me cioè pare che la comunicazione di massa sia superficiale: consuma le persone dentro le notizie trascurando quello che conta di più, ovvero la profondità oltre le apparenze, la vita che arriva dopo a telecamere spente nella crisi di coscienza che nessuno racconta, le conversioni al bene solitarie che non fanno audience (chissà perché quelle non la fanno, mah). Quindi sta a noi: ci facciamo bastare l’immagine tetragona riflessa dallo schermo col Dio naftalinizzato e la Chiesa incoerente coi suoi reati secolari imperdonabili? Oppure scegliamo di sfidare le certezze preconfezionate, scendendo nella carne viva della realtà? Perché, se solo ci proviamo un attimo, a sporcarci con le cose così come stanno davvero, scopriremo che il cielo (r)esiste. Che Dio (r)esiste.
Dentro le storie umane senza audience, semplicemente. Dentro l’anonimato della signora di paese che ogni sera porta alla vicina disabile il brodo di pollo e le mele cotte. Dentro la giornata del padre di famiglia con l’insufficienza renale che si alza alle cinque per andare ad aprire il bar dove lavora con due dei suoi figli, e poi va a fare la dialisi. Dentro le notti insonni di una madre sola con due bambini a carico e un tumore cerebrale al secondo stadio, che sceglie di perdonare il marito fuggito con la collega. Di queste storie semplici nessuno farà un reality su Netflix, eppure questi sono stralci di vite vere, le vostre. Dietro gesti semplicemente prodigiosi che accadono continuamente ovunque nel silenzio, vive (consapevole o no) un amore superiore alla comprensione umana. Dentro la realtà delle persone che ci circondano c’è la fede senza chiacchiere in un Padre nei cieli.
C’è un popolo silenzioso là fuori accomunato dalla preghiera di carne, espressione della Chiesa viva. Che magari nemmeno sa di esserlo, ma di fatto vive come se. Non c’è solo quello però, lo sappiamo. Di contro, abbiamo una selva di gente arrabbiata, stravolta, che non guarda più in faccia nessuno. Una marea di ossa stanche, che vanno avanti male in cerca di sollievo. Figli prodighi scappati di casa con l’eredità bruciata in due giorni, pecore senza gregge né pastore, prede facili di chiunque, uomini feriti a bordo strada in attesa del buon samaritano che non passa. Che la salvezza manco se l’aspettano più. (Fonte foto: Facebook)
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