Sul politicamente corretto e sulla cultura dominante sono in già stati pubblicati molti testi, ma pochi hanno il pregio della sintesi e della chiarezza che si trovano nell’ultima fatica di Luigi Iannone, scrittore e collaboratore delle pagine culturali de Il Giornale. In effetti, Sopravvivere al pensiero unico. Breviario contro il conformismo della nostra epoca (Giubilei Regnani 2024) – questo il titolo dell’opera, impreziosita dalla prefazione di Marcello Veneziani – si legge con facilità, pur essendo un libro denso di citazioni e riflessioni, frutto evidentemente d’una lunga riflessione. Per mettere meglio a fuoco i contenuti di questo libro, il Timone ha avvicinato il suo Autore.
Iannone, il suo libro si apre con una osservazione interessante: mentre l’Occidente oggi rifiuta la propria identità «nel resto del pianeta si va ridefinendo un nuovo ordine mondiale che arricchisce la storia di altri protagonisti, rimettendo tutto in discussione» (p.11). Eppure l’Occidente, a livello militare, economico e tecnologico, sembra ritenersi ancora dominante, o sbaglio? «In parte lo è! Ma il mondo sta cambiando e, nel medio periodo, i Brics allargheranno sicuramente il loro peso e incrementeranno la loro forza contrattuale. Ambiscono a creare un blocco alternativo anti occidente proprio mentre noi siamo fiaccati da cose francamente inutili».
Il pensiero unico occidentale si diffonde più per pigrizia intellettuale o per la forza propagandistica dei media? Riconoscerà che non è facile aver un pensiero proprio quando giornali, tv, cinema e università ne diffondono uno soltanto… «Si diffonde perché avanza la foga di emancipare l’individuo che è cosa positiva impiantata da sempre nel nostro Dna. Ma è fattore positivo se rimane aggrappato anche ad un retaggio storico e identitario e ad una idea di libertà e di rivendicazioni mai sconnesse dal concetto di responsabilità. Se invece si cancellano queste connessioni e si è pronti ad accogliere ogni cosa abbia sentore di nuovo, si diventa fragili proprio nel momento in cui queste tecniche manipolative si mostrano non più come frutto di una moda ma di un piano ideologico».
A proposito, non trova paradossale che tic e fissazioni woke – che altro non sono che pregiudizi, in definitiva, contro la storia, la famiglia naturale e l’identità – abbiano i loro epicentri in quelle stesse università che, per statuto e tradizione, dovrebbero educare al pensiero critico e vincere i pregiudizi, anziché fabbricarne di nuovi? «È una storia che parte da lontano. Tom Wolfe raccontò l’alba di questa follia nel suo Radical chic, uscito nel 1970. Negli anni successivi non si dette peso a tutto quel ribollire di fermenti perché il “nemico principale” era il comunismo. Dissolto l’Urss, il pensiero unico ha potuto progressivamente dispiegarsi e mostrare il suo vero volto. Oramai, negli Usa, professori universitari che pubblicamente assumono posizioni di contrarietà rispetto a certi temi vengono puniti – in taluni casi – con sanzioni amministrative, ma quasi sempre con la sospensione dall’insegnamento, la perdita del lavoro e, soprattutto, con la “segnalazione” nei database nazionali».
Scrive che oggi «non c’è alcuna necessità di scongiurare poteri occulti o teorie complottistiche perché il “sistema” è sotto i nostri occhi, governa gli scenari e periodicamente perviene a un parziale assestamento» (p.25). Ma il fatto che il sistema oggi sia giunto ad agire a volto scoperto – «sotto i nostri occhi», appunto – non è un segno di debolezza, di fronte ad una critica che l’ha costretto a scendere direttamente in campo? «Si è strutturato un intreccio pericoloso tra università, mass-media, grandi imprese e cultura di massa da cui è complicato venire fuori. Tuttavia, il sistema agisce “a volto scoperto” perché mostrandosi come difensore delle libertà democratiche, dei diritti, dell’inclusione e della tolleranza si sente in diritto di esporre al pubblico ludibrio chi è fuori dal coro. Se critichi la Teoria gender sei un omofobo, se fai lo stesso con l’aborto sei un retrogrado… Sta allora accadendo il contrario di quanto lei dice: snidare i nemici per annientarli sotto una tempesta di accuse moralistiche… che, di morale, hanno poco o nulla».
Scrive che i «cattolici» oggi, davanti al pensiero unico, «finiscono per aderire in maniera entusiastica al nuovo corso» (p.104). Non rischia, così dicendo, d’esser un po’ ingeneroso? Tanti cattolici, nel loro piccolo – si pensi al mondo pro life, ma non solo – tentano eccome di ribellarsi al «al nuovo corso», non trova? «Lo diceva, meglio di me, e già nel 1971, Augusto Del Noce: “La prima condizione perché l’eclissi abbia termine e il cattolicesimo esca dalla sua crisi è che la Chiesa riprenda la sua funzione: che non è di adeguarsi al mondo, ma, al contrario, di contestarlo”. Non generalizzo, ma l’onda collettiva sembra indirizzarsi sempre più verso il modello dominante. Nel libro cito tutta una serie di aneddoti che aiutano a capire quanto questo sfaldamento sia diffuso e come, oramai, siamo vicinissimi ad un punto di non ritorno. Oltretutto, se al Sacro si sostituisce la Sociologia, così come fanno molti prelati, il risultato non può che essere questo».
Lei ha scritto belle pagine, cito proprio il titolo del suo libro, per Sopravvivere al pensiero unico. Ma davanti ad un Occidente svuotato di senso e di prospettiva, che non crede quasi più in nulla, demograficamente in coma profondo – tenuto in piedi solo da un accanimento terapeutico di tipo tecno-economico -, forse davanti ad un Occidente così, dicevo, per sopravvivervi non basta aspettare? Che il suo cadavere passi… «Non so se dobbiamo aspettare che il cadavere passi o attendere la “salvazione” da parte di un Dio, come preconizzava Heidegger. Di certo, le risposte più immediate sono quelle di sempre: riaffermare il senso della comunità e delle antiche tradizioni popolari, valorizzare la pluralità delle culture che donano all’umanità la risorsa e la bellezza della sua diversità, recuperare il senso del Sacro, in modo da riconsegnare una prospettiva metafisica all’esistente. Ma oramai rischiano di passare anch’esse come vecchie parole d’ordine inserite in una sorta di contro-utopia, peraltro quasi incomprensibile ai più giovani. Eppure, non c’è altro da fare». (Fonte foto: Pexels.com/Facebook)
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