Pubblichiamo di seguito l’intervento integrale di Suor Anna Monia Alfieri tenuto a Termoli il 1° Maggio:
Innanzitutto ringrazio per questo invito il signor parroco, i sacerdoti presenti, i religiosi e le religiose, per aver pensato a questo incontro e per avermi invitata. Ringrazio voi tutti che siete qui presenti e che, anche attraverso l’incontro di oggi, volete riflettere sulla straordinaria figura di Maria: lo state facendo in questi giorni in un modo del tutto particolare, avendo il mezzo a voi l’effigie della Madonna di Fatima con il suo inalterato messaggio di conversione e di amore per l’umanità. Il mistero delle apparizioni della Cova di Iria ha sempre esercitato in me un fascino particolare, perché la Madonna, nei suoi messaggi ai tre pastorelli, ha invitato ad agire concretamente per il destino dell’umanità: se l’uomo agisce ispirandosi al bene, pregando e confidando, può davvero mutare le sorti dell’umanità e allontanarsi dal destino di male cui l’uomo stesso, per sua stessa opera, sembra destinato ad autocondannarsi. La consacrazione al Cuore Immacolato di Maria pronunciata da Pio XII e poi ancora da Giovanni Paolo II ha davvero cambiato le sorti dell’umanità, fino a deviare il proiettile di Ali Agcià il 13 maggio 1981.
L’uomo è chiamato a grandi opere che possono essere compiute solo nell’affidamento a Maria che, nel suo essere canale di tutte le grazie, ottiene dal Figlio suo ciò che è buono e giusto per noi, uomini e donne del nostro tempo. Confesso, poi, che mi piace andare nelle parrocchie, perché credo nel ruolo vitale che la parrocchia, nonostante le mille fatiche, svolge in seno alla Chiesa, per portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio. Il tema poi che mi è stato affidato mi ha consentito di riflettere, di approfondire, di pregare: quindi anche per me è occasione bella di crescita nella fede. Inizio così anche io, con voi, il mese di maggio che è da sempre legato al culto di Maria. Cercherò di dare qualche spunto per la riflessione di tutti: poi ognuno farà suo ciò che sente più vicino alla sua esperienza e alla sua sensibilità personale. Come dico sempre, non ho la pretesa di esaurire l’argomento o di fornire facili soluzioni: desidero solo dare un contributo di pensiero e di analisi con qualche proposta concreta, questo sicuramente!
La storia della Chiesa e, ancor prima, la storia del popolo ebraico, attraverso l’Antico Testamento, ci rimandano a donne che hanno avuto un “ruolo”, nel senso di compito, di collaborazione con l’uomo per il bene dell’umanità. Pur in una società patriarcale, quale quella del popolo di Israele nel corso delle vicende narrate dall’Antico Testamento, è significativo che le donne trovino un posto così importante: e si tratta di donne forti, per giunta! La stessa pagina della creazione dell’uomo e della donna ci richiama ad una sostanziale parità (“Dio…maschio e femmina li creò, … li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” Gen 1, 27-28). Senza considerare le grandi e anche le umili donne della Bibbia: Sara, Rachele, Rut, Giuditta, Ester, per citare alcune delle grandi, ma senza dimenticarne altre senza nome ma fondamentali per il ruolo e per l’esempio nella storia della salvezza: la moglie di Noè, la figlia del Faraone, la madre dei Maccabei… Lo stesso vale per le origini del Cristianesimo e per la storia della Chiesa: donne che hanno collaborato con tutta la loro persona al fiorire e alla diffusione della notizia più importante e più appassionante per l’essere umano: Cristo è risorto! Maria di Nazareth occupa, tra tutte queste figure femminili, il primo posto per il ruolo che lei ha avuto nell’opera della salvezza. Il suo sì, il FIAT, pronunciato alle parole dell’arcangelo Gabriele, ha fatto scaturire il rinnovamento dell’umanità.
Da quel sì deriviamo noi tutti, salvati e redenti da colui che è nato da lei a motivo di quel FIAT. A Maria si addicono i titoli più belli. Prima del Concilio era diffuso il motto: DE MARIA NUMQUAM SATIS, ossia: riguardo a Maria non si dirà mai abbastanza. Durante il Concilio quel motto fu tramutato in DE MARIA EST IAM SATIS, ossia: di Maria è stato detto tutto. Ed è significativo che tra i sostenitori di questo cambiamento di prospettiva ci fossero due suoi autentici devoti: i giovani Ratzinger e Woytila. Si voleva infatti portare la devozione a Maria entro binari più strutturati e, possiamo dire, meno sdolcinati.
Certamente tra i titoli più belli, vi è quello che vede in lei il modello di tutti gli educatori: infatti con il suo esempio ha educato Gesù, prima bambino, poi adolescente e, infine, giovane uomo, nella consapevolezza di essere Figlio di Dio. Maria, in quanto vera madre di Gesù, ha dimostrato di conoscerlo perfettamente: infatti, alle nozze di Cana, ai servitori non fa altro che dire: “Fate quello che vi dirà”. Lei sapeva tutto e questo sapere tutto si traduce in un totale affidamento al Figlio. Ecco la vera credente, la prima dei credenti. E, ancora, come vera madre, è capace di rimanere senza parole davanti al Figlio e di rimproverarlo: è quello che avviene in occasione della disputa di Gesù fanciullo al Tempio di Gerusalemme davanti ai dottori della legge. Maria dice: “Perché ci hai fatto questo?” Ecco i tratti salienti di Maria madre vera di Gesù e, in quanto vera madre, vera educatrice. E Maria, essendo madre di Gesù, è madre nostra. Voglio citare la lettera apostolica di Paolo VI, Signum magnum, promulgata nel 1967, in occasione del 50esimo anniversario delle apparizioni di Fatima:
Maria, madre spirituale mediante la sua intercessione presso il Figlio Ma in qual modo Maria coopera all’incremento delle membra del corpo mistico nella vita della grazia? Prima di tutto mediante la sua incessante preghiera, ispirata da una ardentissima carità. La Vergine santa, infatti, benché allietata dalla visione dell’augusta Trinità, non dimentica i suoi figli avanzanti, come lei un giorno, nella peregrinazione della fede (22); anzi, contemplandoli in Dio e bene vedendone le necessità, in comunione con Gesù Cristo che è sempre vivo sì da poter intercedere per noi (23), si fa loro Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice (24). Di questa sua ininterrotta intercessione presso il Figlio per il popolo di Dio, la Chiesa è stata fin dai primi secoli persuasa, come ne fa testimonianza questa antichissima antifona che, con qualche lieve differenza, fa parte della preghiera liturgica sia in Oriente che in Occidente: Noi ci rifugiamo sotto la tutela delle tue misericordie, o Madre di Dio; non respingere le nostre suppliche nelle necessità, ma salvaci dalla perdizione, o (tu) che solo (sei) la benedetta (25).
Ci sono, poi, aspetti di Maria che mi affascinano, in quanto ce la rivelano come donna forte e coraggiosa: – Maria si mette in viaggio per aiutare la cugina Elisabetta in procinto di dare alla luce il Precursore. E’ bello che i Vangeli ci raccontino questo aspetto così concreto. La fede si traduce in una vita vissuta nel servizio, a 360° – Maria sposa Giuseppe e con lui si pone in una relazione di fiducia e di collaborazione: con lui va a Betlemme, con lui fugge in Egitto, con lui ritorna a Nazareth – Maria è donna del dolore, un dolore però vissuto dignitosamente: dalla profezia del vecchio Simeone al Calvario. Lei sapeva il destino del Figlio e quindi il suo. Ma, proprio sotto la croce, la sua maternità non si chiude anzi si dilata e si rinnova, ricevendo un mandato universale: lei sarà la madre di Giovanni e con lui degli Apostoli e quindi della Chiesa.
Su quest’ultimo punto non posso non citare il grande discorso di Paolo VI a conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Era l’8 dicembre 1965:
Come infatti la divina Maternità è la causa per cui Maria ha una relazione assolutamente unica con Cristo ed è presente nell’opera dell’umana salvezza realizzata da Cristo, così pure soprattutto dalla divina Maternità fluiscono i rapporti che intercorrono tra Maria e la Chiesa (…) Ad alimentare e confermare ulteriormente questa fiducia Ci inducono quegli strettissimi vincoli che esistono tra questa nostra Madre celeste e l’umanità. Pur essendo stata arricchita da Dio di doni generosissimi e meravigliosi perché fosse Madre degna del Verbo Incarnato, nondimeno Maria ci è vicina. Come noi, anche lei è figlia di Adamo, e perciò nostra sorella per la comune natura umana; per i meriti futuri di Cristo essa fu immune dal peccato originale, ma ai doni divinamente ricevuti aggiunse personalmente l’esempio della sua fede perfetta, tanto da meritare l’elogio evangelico: “Beata te che hai creduto”
Una riflessione. Quando sento parlare, anche all’interno della Chiesa, della mancata valorizzazione della donna, non sono d’accordo: personalmente non mi sento affatto discriminata né come donna né come religiosa, proprio perché intendo la mia vita, in primis, e la mia scelta di consacrazione, in secundis, come un dono, come un’opportunità da giocare al 100%. Quest’ottica mi fa vivere tutto come occasione di bene, non come privazione di qualcosa. Chi si sente privato di qualcosa tende al risentimento, alla rivendicazione. Chi, al contrario, si sente realizzato è aperto agli altri con serenità e attenzione. Occorre sempre andare oltre le visioni divisive, le polemiche, come se ci mancasse sempre qualcosa e quel qualcosa non basta mai.
Vivere in pienezza, per me, vuol dire questo. Forse è corretto parlare di “rinnovamento” della Chiesa in proporzione a quanto uomini e donne di Dio sono chiamati a fare, pregare, osare insieme. San Giovanni Paolo II, nella Mulieris Dignitatem, ha affermato che la donna assume, “insieme con l’uomo, una comune responsabilità per le sorti dell’umanità, secondo le quotidiane necessità e secondo quei destini definitivi che l’umana famiglia ha in Dio stesso”. Se discriminazione esiste nel nostro tempo industrializzato, frenetico, chiuso alla vita, questo vento si riflette nella Chiesa, ma non le deve appartenere così come non le appartiene.
Sicuramente e giustamente San Giovanni Paolo II ha evidenziato alcuni aspetti strutturali del genio femminile alla luce della Parola di Dio e, in particolare, dei Vangeli: Maria di Nazaret è il modello di accoglienza, fermezza, capacità intuitiva, dedizione totale, speranza assoluta che rendono la donna “se stessa”, anche se non è bene creare uno stereotipo. Ogni donna e ogni uomo sono se stessi e possono reciprocamente arricchirsi con le caratteristiche gli uni delle altre. Faccio un esempio che riguarda la mia storia di consacrata: il nostro fondatore, il beato don Luigi Biraghi, un sacerdote ambrosiano vissuto nell’Ottocento, parlava di “tempra virile”, riferendosi alla formazione della suora marcellina.
La Chiesa deve sempre più cogliere la bellezza di questa complementarietà. Tenerezza e generatività, energia e determinazione non hanno genere: sono caratteristiche profondamente umane che vanno coltivate in un contesto non discriminante dell’umano. Non amo, per carattere, le battaglie rivendicative di alcune correnti ecclesiali; sono d’accordo con papa Francesco che desidera rendere meno “clericale” e più “umano” – nel senso di arricchirlo anche delle caratteristiche del genio femminile – alcuni dicasteri della Curia. Alla base ci deve essere un processo di educazione e formazione, che solo famiglia e scuola, nella complementarietà dei ruoli anche maschili e femminili, possono offrire.
Chiaro che parlare del ruolo della donna non può prescindere dalla dimensione educativa propria dell’essere umano: in questo la donna ha un ruolo fondamentale. La Chiesa è Madre e Maestra, quindi educatrice. Da anni mi batto per una scuola veramente libera, ossia liberamente scelta dai genitori e dagli insegnanti. Una scuola che abbia un proprio progetto educativo così che le famiglie possano, sulla base delle loro convinzioni educative, scegliere in un panorama vario di offerta. La molteplicità dell’offerta formativa non deve spaventare: la nostra società è complessa e questa complessità va affrontata non tramite l’omologazione e l’appiattimento ma tramite una pluralità di esperienze. Le differenze costituiscono una ricchezza, occorre ricordarcelo. Cito nuovamente la Signum magnum
Maria, educatrice della Chiesa col fascino delle sue virtù Né si pensi che il materno intervento di Maria rechi pregiudizio all’efficacia predominante e insostituibile di Cristo, nostro Salvatore; al contrario, esso trae dalla mediazione di Cristo la propria forza e ne è una prova luminosa (26). Non si esaurisce, però, nel patrocinio presso il Figlio la cooperazione della Madre della Chiesa allo sviluppo della vita divina nelle anime. Ella esercita sugli uomini redenti un altro influsso: quello dell’esempio. Influsso, invero, importantissimo, secondo il noto effato: Le parole muovono, gli esempi trascinano.
Come, infatti, gli insegnamenti dei genitori acquistano un’efficacia ben più grande se sono convalidati dall’esempio di una vita conforme alle norme della prudenza umana e cristiana, così la soavità e l’incanto emananti dalle eccelse virtù dell’Immacolata Madre di Dio attraggono in modo irresistibile gli animi all’imitazione del divino modello, Gesù Cristo, di cui ella è stata la più fedele immagine. Perciò il Concilio ha dichiarato: La Chiesa pensando a lei con pietà filiale e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, con venerazione penetra più profondamente nell’altissimo mistero dell’incarnazione e si va ognor più conformando col suo sposo (27).
Cari amici, parlo con la franchezza e l’onestà che discendono dalla libertà di cui, come ogni uomo, mi sento di godere. Un presupposto: la Chiesa si è occupata di educazione da sempre, la Chiesa è per sua stessa natura e per il suo stesso supremo fine una realtà educativa. Scuole sorsero all’interno dei Monasteri, delle Cattedrali poi, fino ad arrivare a quello straordinario slancio educativo iniziato dai Gesuiti con la loro Ratio studiorum (1599) e culminato nelle fondazioni, nel corso del XIX secolo, di centinaia di Congregazioni con carisma precipuamente educativo. Anche la Chiesa, tuttavia, nelle sue varie realtà educative e di aggregazione, ha abdicato al proprio ruolo educativo. La grande lezione del Concilio Ecumenico Vaticano II è stata travisata e così quel patrimonio educativo, culturale e umano che la tradizione secolare della Chiesa ci aveva lasciato è stato messo sotto accusa e, spesso implacabilmente, condannato. In nome di cosa?
In nome di un falso concetto di laicità, per il quale il messaggio evangelico non poteva essere più esplicitato perché rischiava di offendere il non credente o i credenti di altre religioni. Risultato? Non abbiamo più detto nulla, non abbiamo più fatto proposte alte ai nostri giovani, li abbiamo lasciati in un torpore generale dal quale ci stanno svegliando oggi i fatti di violenza che ogni giorno accadono. La fede è calata semplicemente perché non l’abbiamo più proposta in nome del politicamente corretto. Ci si è persi, abbiamo seguito l’onda senza badare alla spiaggia dalla quale eravamo partiti. Ma noi dobbiamo essere nel mondo, non del mondo, cioè dobbiamo conoscere il mondo per cambiarlo dall’interno.
Torniamo allora alle origini, riscopriamo le nostre potenzialità, torniamo ad avere un’ottica di speranza che nasce dalla fiducia nell’altro, non dalla chiusura. E’ la grande lezione di Maria. Solo così avremo giovani aperti alla vita, avremo uomini e donne aperti al dialogo e alla collaborazione e non chiusi nell’angusta prospettiva dell’affermazione di se stessi e della rivendicazione del proprio ruolo a scapito degli altri. Diliges proximum tuum sicut teipsum, amerai il prossimo tuo come te stesso. Possa il Cuore Immacolato di Maria risplendere dinanzi allo sguardo di tutti i cristiani quale modello di perfetto amore verso Dio e verso il prossimo; li induca esso alla frequenza dei santi Sacramenti, per la cui virtù gli animi sono mondati dalle macchie del peccato e da esse preservate; li stimoli inoltre a riparare le innumerevoli offese fatte alla divina Maestà; rifulga, infine, come vessillo di unità e sprone a perfezionare i vincoli di fratellanza tra tutti i cristiani in seno all’unica Chiesa di Gesù Cristo, la quale, edotta dallo Spirito santo, con affetto di pietà filiale venera la Vergine Maria come Madre amatissima. Amen. (Fonte foto: Pexels.com/Imagoeconomica)
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