giovedì 21 novembre 2024
  • 0
Cara Sciandivasci, l’aborto è comunque un dramma
NEWS 25 Aprile 2024    di Manuela Antonacci

Cara Sciandivasci, l’aborto è comunque un dramma

«L’ultima cosa che mi ha detto il dottore che mi ha aiutata a non farti nascere, prima che l’anestesia mi facesse addormentare, è stata: le piacciono i Beatles? Mi sono svegliata non so quante ore dopo e ho pianto molto. La mia infermiera si è avvicinata e mi ha accarezzato il viso e io le ho detto «è andato tutto bene, dottoressa?» e lei mi ha detto «sì». Tu non c’eri più. Ho preso il taxi come richiesto dalla dichiarazione che avevo firmato: diverse ore dopo il risveglio. Sono arrivata a casa e ho chiamato tuo padre. Era a Londra. Gli ho detto di aver abortito e lui mi ha chiesto perché. Gli ho detto che non ho trovato motivi per non farlo. Mi ha guardata con i suoi grandi occhi blu e non ha detto niente. Allora gli ho raccontato dei Beatles, ha preso la sua chitarra e ha suonato la mia preferita, Obladì Obladà. Ho cantato io, mi sei mancata tu».

È uno stralcio del racconto di una gravidanza volutamente mancata, scritto dalla protagonista, la giornalista Simonetta Sciandivasci, dall’emblematico titolo “Non ti ho fatto nascere eppure sono in pace. Storia di un aborto vissuto senza dolore e con inevitabile incertezza” e pubblicato ieri su La Stampa .

In realtà in tutto il resoconto dell’esperienza vissuta dalla Sciandivasci traspare una nota di nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere e che non è stato, a cominciare dal sogno ad occhi aperti, di quella che immaginava fosse, nel suo grembo, una bambina a cui aveva già attribuito una serie di nomi: «Se fossi nata ti avrei chiamata Elsa Maristella Elisa Lalage Prisca Anna Olga, e non appena fossi stata tra le mie braccia, pulita calma e sazia, ti avrei sussurrato ciascun nome e ti avrei dato quello, o quelli, che ti faceva o facevano aprire gli occhi. Se fossero stati tutti, te li avrei dati tutti».

Si fa davvero fatica a pensare di fronte a tanta tenerezza, per un esserino non ancora nato, che si sia trattato di un gesto così asettico da parte della futura mamma. E non solo il nostalgico racconto della Sciandivasci ce lo fa credere, ma anche i numerosi studi scientifici che documentano una vera e propria sindrome depressiva post aborto, di contro a chi, sempre in ambito medico, vorrebbe cancellare questa condizione psichica così profonda e persistente, con un colpo di spugna ideologico.

Ma i dati scientifici parlano chiaro e sono tanti. Ne citiamo solo alcuni per brevità: un’ indagine globale uscita nell’ottobre 2023 sul BMC Psychiatry ha osservato che, per quanto «sia influenzata da diversi fattori, tra cui la metodologia impiegata» per studiarla, «la posizione geografica e lo stato socioeconomico della popolazione», «l’insorgenza della depressione post-aborto è diffusa a livello globale»; il che rende assai arduo immaginare che tale sindrome sia un fattore solo culturale e di colpevolizzazione della donna, come ama raccontare certa narrativa liberal.

Peraltro si legge anche che, in generale, «l’incidenza della grave depressione post-aborto è tre volte superiore rispetto ad altri periodi della vita delle donne». Un’ incidenza importante che emerge anche da uno studio pubblicato nel 2023 su Cureus, nel quale si sono considerate le storie di 226 donne che avevano abortito e da cui è emerso che solo gli aborti desiderati (il 33% ) erano associati a emozioni positive o miglioramenti in termini di salute mentale, mentre tutti gli altri gruppi hanno attribuito ai loro aborti emozioni negative: il 43% delle donne aveva accettato l’esperienza, tuttavia, la considerava incoerente con i propri valori e preferenze e il 24% come non desiderato o forzato.

E infine un dato molto eloquente: il 60% ha riferito che avrebbe preferito partorire se solo avesse ricevuto più sostegno da altri o avesse avuto più sicurezza finanziaria. Inoltre, in uno studio pubblicato nel 2020 sulla rivista Eastern Journal of Medicine, che peraltro ha come prima autrice una donna – la dottoressa Kornelia Zaręba – è emerso che, spesso, le donne che abortiscono «non sono consapevoli che in seguito avranno bisogno di supporto psicologico» e che i primi sintomi compaiono entro quattro mesi e fino a un anno dalla procedura.

Dunque una presa di coscienza graduale, di cui, tuttavia, pare aver scarsamente tenuto conto lo studio pubblicato nel 2016 su JAMA Psychiatry, secondo il quale le donne che affrontano una gravidanza indesiderata, se praticano l’aborto, non subiscono alcun impatto negativo sulla loro salute mentale. Analogamente, nel 2020 su Social Science & Medicine un’altra ricerca è pervenuta ad un esito simile. Peccato che queste indagini abbiano tutte una pecca non piccola: l’aver esaminato le donne appena subito dopo l’aborto, presupponendo che l’assenza di problemi psicologici non si manifestasse successivamente come già detto sopra o addirittura nell’arco dei cinque anni, successivi all’interruzione di gravidanza, com’è stato notato già all’uscita del primo studio del 2016 dallo psicologo e scrittore Cullen Herout.

Infine, nel luglio 2016 uno studio pubblicato su SAGE Open Medicine, effettuato sondando un campione molto esteso – 8.005 donne con età dai 15 ai 28 anni -, ha trovato, tra l’altro, dopo aver proceduto ad «un ampio aggiustamento dei fattori confondenti», come l’aborto sia costantemente associato ad un moderato aumento del rischio di disturbi di salute mentale durante la tarda adolescenza e la prima età adulta. Di contro «la nascita è stata debolmente associata a una riduzione dei disturbi mentali».

Non è dunque affatto vero – come dimostrano questi studi (ma se ne potrebbero in realtà citare molti altri, se non ci fosse il rischio di annoiare il lettore) – che l’aborto non lasci segni nella salute materna; ne lascia eccome. Ma quand’anche così fosse, non va dimenticato un dato – questo sì ineliminabile: e cioè che l’aborto, ogni aborto, determina la perdita di una vita umana innocente, di un figlio, di un essere umano unico ed irripetibile. Uno di noi, a tutti gli effetti. E come tale dovrebbe essere ricordato, non messo fra parentesi come parte di un intervento chirurgico “qualsiasi” (Fonte foto: Imagoeconomica/LaS tampa).

ABBONATI ALLA RIVISTA!


Potrebbe interessarti anche