I numeri purtroppo non mentono. I 336 voti favorevoli, 163 contrari e 39 astensioni con cui ieri il Parlamento europeo ha approvato il testo della risoluzione per includere il diritto all’aborto sicuro e legale nella Carta fondamentale dell’Ue, ecco, sono un segnale inequivocabile. Anzitutto, il segnale che, come il Timone di aprile – che contiene un contributo esclusivo di Aliette Espieux, la portavoce ufficiale della Marcia per la Vita d’Oltralpe – temeva, la Francia e la sua costituzionalizzazione dell’aborto hanno fatto scuola. Ma il voto di ieri è anche il segnale che la voce della Chiesa – levatasi, con un intervento dei vescovi Ue, contro la risoluzione poi passata – non trova più ascolto tra gli stessi esponenti popolari, che si definiscono cristiani.
Non solo. Che la stessa Europa demograficamente moribonda, che non sa più come rilanciare la natalità, aspiri ad elevare a diritto fondamentale la soppressione della vita diritto, ecco, è qualcosa di assurdo o, meglio, di tragicamente coerente nella logica di un Vecchio Continente che si accinge ad accomiatarsi dalla storia. A poche ore da uno scenario surreale – che ha visto il Ramadan rimpiazzare la Pasqua in parecchie città d’Europa -, il voto di ieri viene quindi ad assumere un valore di simbolico congedo. Non esagera pertanto Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia Onlus e firma della nostra rivista, nel parlare di «giorno tragico per la storia dell’Europa e per i suoi valori fondanti»; perché ieri, in effetti, il giorno è stato tragico senz’altro.
Il dato drammatico, e su cui dovremmo tutti riflettere, è che non si è trattato di un caso. Al contrario, l’approvazione della risoluzione di ieri, oltre ad avere significativi precedenti – un voto simile si ebbe anche nel giugno sempre 2022 –, si colloca in un filone molto chiaro: quello di un’Europa che detesta sé stessa con tutte le sue forze. Perché i “diritti riproduttivi”, l’assolutizzazione dell’autodeterminazione della donna e tutto il resto, altro non sono che pretesti per voler rinunciare al proprio futuro. Certo, ha ragione chi sostiene che non vi siano competenze a livello Ue per regolamentare l’aborto e che, pertanto, è difficile che il voto di ieri possa poi effettivamente tradursi in una modifica alla francese della Carta fondamentale dell’Ue.
Tuttavia, quand’anche la Carta Ue rimanesse com’è, la vittoria della cultura della morte rischia comunque di essere netta. «Pur essendo una risoluzione non vincolante», ha osservato in tal senso il Centro Studi Livatino in una nota, «è indubbio che si tratta di una decisione grave, che rappresenta uno schiaffo, oltre che alle istituzioni democratiche dei Paesi in cui l’aborto non è considerato un diritto, alle stesse donne, impedite ad avere un’informazione piena ed esaustiva su cosa significa abortire, ai tanti medici, che non intendono prestare la propria opera alla soppressione della vita umana innocente, ed ai bambini nel grembo materno, trattati come cose».
C’è di più. Di questo passo la vittoria della cultura della morta rischia proprio di essere schiacciante. Nel senso che, se ieri è toccato ad un provvedimento sull’aborto, plausibilmente presto ne verrà uno sull’eutanasia, e domani chissà cos’altro. Il filo rosso che però unisce (ed unirà) tutti questi drammatici passaggi resta uno ed uno soltanto: quello, come si diceva, d’un rifiuto delle verità antropologiche e, in definitiva, del bene dell’uomo. Un rifiuto che segue a quello mancato del riconoscimento delle radici cristiane e, dunque, di Dio; e forse è proprio da quel mancato riconoscimento che si spiega la deriva vista ieri all’Europarlamento. Ed è sempre da lì che, prima o poi, toccherà ripartire (Fonte foto: Imagoeconomica)
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