«Col timore di un bambino ferito dalle parole del papà». Inizia così la lettera indirizzata al Papa Francesco e che parla di Fiducia Supplicans. Una testo che arriva a poche settimane dall’uscita del reportage del Timone in Nino Spirlì, Philippe Arino, Giorgio Ponte, Paolo Olivieri e Norberto Parmeggiani, che la attrazione per lo stesso sesso la hanno sperimentato o la sperimentano sulla propria pelle, hanno fatto emergere, alla luce della loro storia, le criticità e i dubbi sulla dichiarazione del Dicastero per la Dottrine della Fede di fronte a cui non pochi vescovi e diverse conferenze episcopali hanno espresso pubblicamente il loro dissenso. Il testo si è portato dietro un vero e proprio terremoto che ha reso necessario un “chiarimento” che se possibile ha confuso ancora di più. Ora arriva un blog che fa sentire un’altra voce ancora.
«Siamo omosessuali cattolici, accompagnati dalle nostre famiglie e dai nostri amici – si legge – La nostra debole voce fa sempre più fatica ad essere ascoltata perché giudicata stonata e mediaticamente scorretta». La lettera ripercorre gli interventi del Santo Padre dal quel primo: «Chi sono io per giudicare un omosessuale?» che finì sulle prime pagine di tutti i giornali. I firmatari ritengono che lì ci fosse già il seme di tutto quello che è venuto dopo non solo in termini di pastorale e prassi, ma anche di incontri con “transessuali” e coppie dello stesso sesso da parte proprio del Papa. E lamentano di essere stati gli unici a non essere stati ascoltati: «Avrebbe potuto scegliere la via del padre che interpella e ascolta tutti i suoi figli, anche quelli più rigidi, non rappresentati e magari reticenti. Invece ha deciso di ascoltare una sola parte, quella senz’altro più allineata al mondo moderno, più visibile e organizzata. In questi anni l’abbiamo vista rivolgersi di persona, con paterna accoglienza, ai Suoi amici transessuali e omosessuali, singoli e in coppia, che hanno avuto il privilegio di condividere con Lei i loro pensieri e le loro esperienze. Purtroppo, però, non ci è giunta notizia di Suoi incontri con chi vive e sperimenta, per Grazia di Dio, la bellezza liberante del Magistero cattolico per le persone con attrazioni per lo stesso sesso».
Tra le righe si intravede il dolore, la fatica e tanta vita da parte di chi scrive, che sceglie di restare anonimo ma non teme di andare a quello che viene definito punto di non ritorno: «La Chiesa ha sempre benedetto “todos, todos, todos”, come Lei ama ripetere, ma tramite una benedizione canonica, liturgica, sacerdotale e quindi efficace. Gli omosessuali non hanno forse diritto, anche loro, di ricevere questo sacramentale nel pieno del suo potenziale di Grazia? Santo Padre, se quel desiderio del Suo cuore, di accogliere gli “omosessuali che cercano Dio”, è sincero e profondo, perché proporgli una benedizione sbrigativa, svuotata del suo carattere sacramentale, solo perché, per le Sue convinzioni personali, l’accoglienza deve passare necessariamente attraverso la piena accettazione, sociale ed ecclesiale, dell'”amore omosessuale”, mutuando così un linguaggio che come cattolici non ci appartiene? È davvero convinto che questa sia la via giusta per concepire una pastorale cattolica che risponda alle vere domande spirituali di un cuore con attrazioni per lo stesso sesso?»
Infine la supplica, quella di ritirare il testo, di riavvolgere il nastro e tornare al 17 dicembre 2023: «Allora, nella Verità La supplichiamo Santo Padre: chieda al Dicastero competente di ritirare questo documento inutile e dannoso, e impegniamoci “todos”, nessuno escluso, per avviare una pastorale sincera e davvero efficace, in piena sintonia con l’immagine del Pastore Buono che va in cerca delle pecorelle ferite, le difende, le porta sulle spalle e le guarisce riconducendole al gregge. Abbiamo bisogno di pascolo buono, papa Francesco, abbiamo bisogno di parole di Verità».
Chissà se questo appello almeno giungerà a destinazione.
(FOTO: Pexels)
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