I fatti di Pisa li troviamo fotografati e titolati su tutti i media. Non staremo qui a prendere le difese di una parte a discapito dell’altra o ad analizzare ogni mossa della vicenda, non sta a noi. In breve, durante il corteo per il cessate il fuoco in Palestina – non preavvisato in Questura e pertanto non autorizzato – venerdì 23 febbraio, i poliziotti del Reparto mobile hanno manganellato degli studenti. La Questura di Pisa ha ora aperto un’inchiesta sulla squadra composta da quindici poliziotti per l’uso dei manganelli sui manifestanti.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha richiesto accertamenti al capo della Polizia, Vittorio Pisani, per comprendere meglio le dinamiche e le lacune del caso. Si è detto «amareggiato» ma allo stesso tempo ha sottolineato che «il compito delle Forze di polizia in questi scenari complessi va anche sostenuto con fiducia e senza pregiudizi» e che «preavvisare le manifestazioni, rispettare le prescrizioni e gli accordi intercorsi con le autorità di pubblica sicurezza e, più in generale, rispettare la legge, sicuramente aiuta tutti a concorrere a quella complessa ricerca del punto di equilibrio tra libera manifestazione del pensiero, diritto alla pacifica riunione ed altrettanto doverosa salvaguardia della sicurezza pubblica».
Sabato è poi intervenuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella affermando che «l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Anche la Schlein sentenzia su Instagram: «C’è un clima di repressione che abbiamo già contestato mercoledì scorso al ministro in Parlamento. Difendiamo la libertà di manifestare pacificamente». Peccato che non abbia colto anche altre occasioni per condannare «la repressione» di altri tipi di libertà d’espressione. O ci siamo già scordati gli attacchi alla sede Pro Vita di Roma?
Il coro a senso unico All Cops Are Bastards è più di un cliché. È un grido di rabbia, di frustrazione, dove confluisce l’ancestrale ribellione verso l’autorità. Proviamo però a immaginare la scena lucidamente. Un’orda di manifestanti confluisce in piazza dei Cavalieri per svoltare poi in via San Frediano dove ad attenderli compatta è una schiera di poliziotti. Uomini, «non robot», come ha suggerito Salvini. La tenuta antisommossa non riesce a nascondere emozioni e aspettative, paure e limiti. La folla intende proseguire e superare gli agenti, ma il loro obiettivo è proprio fermare i manifestanti.
Questi ultimi scelgono di superare lo spazio di sicurezza che li divide e le prime file prendono dei colpi violenti. Per evitare ulteriori danni all’ordine pubblico? Non possiamo saperlo, l’indagine farà il suo corso. Sappiamo però, articolo 24 del Tulps (Testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza) alla mano, che «qualora rimangano senza effetto anche le tre intimazioni ovvero queste non possano essere fatte per rivolta od opposizioni, gli ufficiali di pubblica sicurezza […] ordinano che la riunione o l’assembramento siano disciolti con la forza». Lecito e giusto fare autocritica sui provvedimenti presi in questo caso, ma sostenere che parta dal governo una certa volontà di reprimere la libertà d’espressione puzza di ideologico, irreale e getta un’ombra di discredito sulle forze dell’ordine.
«Da più di un anno le manifestazioni pubbliche gestite dalle forze dell’ordine sono state oltre 13 mila, e di queste solo una minima parte ha fatto registrare incidenti, peraltro con una prevalenza di feriti tra le forze dell’ordine rispetto ai manifestanti», ha dichiarato il ministro Piantedosi in un’intervista rilasciata ieri al Corriere, «dal riacutizzarsi del conflitto israeliano-palestinese l’impegno è notevolmente accresciuto. Dal 7 ottobre scorso sono state più di mille le manifestazioni e soltanto nel 3% dei casi si sono registrati incidenti». «Le botte che nessuno vede», titolava ieri Libero. L’altro lato degli scontri è infatti occupato dai poliziotti che finiscono in ospedale, per i quali però non si scende in piazza e non si scrivono striscioni.
Da quando si è insediato il centro-destra sarebbero 196 quelli feriti durante i cortei, il doppio del numero dei manifestanti feriti. La questione non si può ridurre a numeri e percentuali, a giusto e sbagliato. Al cattivo col manganello e al ragazzino innocente e pacifico. Sarebbe troppo facile e bisognerebbe prima farsi un giro notturno in volante per comprendere un minimo la dinamica. Oppure infilarsi quel caschetto in cui risuonano urla, insulti, esplosioni di bombe carta al grido «O merde fateci passare». È vero, non dovrebbe succedere. Ma anche affidarsi a una certa narrazione che vede colpe solo da una parte deresponsabilizzando l’altra. Anche questo non dovrebbe succedere.
(Fonte foto: Imagoeconomica)
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