Convertitevi! Un imperativo centrale nell’esperienza di fede e nel tempo quaresimale. Eppure, è un imperativo che, per alcuni versi, rischia di perdere il suo mordente e di non raggiungere il suo scopo. Non lo prendiamo veramente sul serio o, comunque, non come rivolto a noi!
È sempre affascinante ascoltare testimonianze di conversione: dalle più famose (Saulo di Tarso, Agostino d’Ippona, Francesco d’Assisi, Edith Stein) a quelle più vicine a noi (giovani che da esperienze di dipendenza e dissolutezza si trasformano in sinceri amici del Signore Gesù e apostoli presso i loro coetanei; ricchi proprietari che si svestono di tutto per mettersi al servizio dei poveri nel nome di Gesù; ecc). Spesso delle conversioni quello che ci colpisce è l’evento improvviso che le ha provocate e questo ci induce a pensare che il cambio radicale di vita sia stato “facile, immediato” perché frutto dell’intervento divino gratuito. Ma nella vita spirituale non si danno automatismi: nulla avviene senza la libera adesione dell’uomo. E, quasi a giustificarsi e a svuotare così l’invito evangelico alla conversione, si approda spontaneamente a una conclusione: “beati loro…io, però, non ho avuto alcuna folgorazione.” Senza riflettere sul percorso serio, radicale e, non di rado, doloroso che è seguito all’intervento divino.
Il confronto con le grandi esperienze di conversione, se lo interpreto in forma superficiale, potrebbe farmi pensare che l’imperativo convertitevi non mi riguardi. Proviamo a dare voce a qualche segreto pensiero, che talvolta ci abita: “La conversione non è, forse, passare dall’ateismo o da un’altra religione al cristianesimo? Beh, io sono già cristiano.” “La conversione non è cambiare la vita da cattiva in buona? Beh, non sarò uno stinco di santo, ma non ho mai fatto del male a nessuno.” Detto in altre parole, si tratta di chiederci seriamente: che cosa significa conversione? Perché devo convertirmi?
Convertitevi: è la prima richiesta che esce dalle labbra di Gesù; è un invito che incessantemente risuona nella liturgia della Chiesa. Non posso, allora, permettermi di ignorarlo o di ritenerlo rivolto a qualcun altro. Nella proclamazione sacramentale del Vangelo, è ciò che Gesù dice a me oggi, qui e ora! La trasformazione morale della mia vita quotidiana, l’impegno a cambiare qualcosa perché la mia vita diventi un po’ più buona ad ogni quaresima, è certamente una dimensione importante della conversione, ma ne è per così dire il punto d’approdo. È nelle scelte e nelle opere concrete della vita, infatti, che si mostra chi sono e si verifica a chi io appartenga realmente.
Ma perché la vita morale possa dirsi cristiana e perché abbia la forza di perseverare, nonostante le avversità e le tentazioni, occorre andare più in profondità. Convertirsi letteralmente significa “cambiare il modo di pensare”: interpretare la realtà, la vita e le relazioni non più a partire da me, ma a partire dal Signore; al centro non le mie sensazioni e le mie opinioni, ma la Verità che è Gesù Cristo. Ecco perché l’invito completo è: Convertitevi e credete nel Vangelo. Non è sufficiente cambiare qualcosa, non basta seguire un nuovo stimolo emotivo. La conversione, ce lo dimostrano proprio Saulo di Tarso, Agostino d’Ippona, Francesco d’Assisi, Edith Stein e molti altri, dopo il primo folgorante incontro con il Risorto ha richiesto loro un lungo percorso di rilettura delle proprie convinzioni, di purificazione delle proprie relazioni, di riorganizzazione della vita.
Basti l’esempio di san Paolo. Era rigoroso nell’osservanza dei comandamenti. Di lui si poteva tranquillamente affermare che era senza colpa. Ma lui stesso in 1Cor 4,4 afferma: “perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!” Ha speso buona parte della sua vita a conoscere ogni piccolo dettaglio della Legge e, per lungo tempo, ha posto tutta la sua speranza nel rispetto dei precetti mosaici. Nessun dubbio nel ritenere che fosse un uomo radicale nella sua relazione con Dio. Dopo aver incontrato il Risorto, però, ha attraversato una fatica lunga anni per arrivare a dire con grande libertà: “… ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo.” (Fil 3,8) Era ammirato come un giovane promettente rabbi, davanti al quale stendere il proprio mantello, in segno di rispetto e venerazione. Avrebbe potuto far valere la propria autorevolezza, conquistata con fatica e sacrifici, ma troverà la pienezza della sua gioia nel constatare “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.” (Gal 2,20)
La conversione scaturisce sempre da una notizia, da una certezza, da un’esperienza: il Regno di Dio è vicino! Potremmo sinteticamente riformulare la ricchissima e complessa espressione “Regno di Dio” così: “la presenza amante e salvifica di Dio”. E quando questo si è manifestato nella sua forma più piena e perfetta? In Gesù, nel suo Mistero di Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione. In Lui il tempo è compiuto, non si deve attendere altro: Lui ha riempito il tempo.
Il Regno di Dio si manifesta e si estende laddove la Pasqua di Gesù raggiunge e salva, con gratuito gesto d’amore, la vita di una persona. All’inizio sta il rendersi presente della Grazia di Dio in Gesù, nella sua Parola e nei Sacramenti. L’accoglienza libera e gioiosa della visita del Signore da parte dell’uomo avvia un processo graduale di trasformazione, che la tradizione cristiana ha chiamato in molti modi: “imitazione di Cristo”, “cammino di perfezione”, “vita di santità”, “configurazione a Cristo”. In una parola “conversione”.
E per avere la certezza che la conversione non assuma semplicemente la forma di un lifting, per apparire più belli agli occhi degli altri o di un restyling, per darsi un tono di novità, la conversione va verificata con un criterio preciso, che ci ha offerto Gesù: credere nel Vangelo. Proviamo a comprendere i termini di questa espressione. Il Vangelo è Gesù stesso: Lui è la buona notizia del Padre all’umanità.
Credere è un atto di tutta la persona, non solo della mente: credere è entrare in una relazione di fiducia e di consegna di tutto se stessi. È muovere da sé verso un altro. È uscire da sé per consegnarsi, per entrare in comunione, per appartenere. Credere nel Vangelo, ancora una volta, è scegliere di appartenere radicalmente a Gesù perché sia Lui il principio ispiratore, la ragione profonda, la Verità assoluta di ogni pensiero, decisione e azione. È un grande inganno pensare che si possa servire meglio l’uomo solo se si mette l’uomo al centro di tutto. L’unica via affinché la persona umana si salvi e divenga veramente se stessa passa dalla centralità di Dio, …e non di un Dio vago, senza volto e senza nome, ma di Dio Padre che ha manifestato definitivamente il suo volto in Gesù Cristo.
Muovendo i primi passi del cammino quaresimale, chiediamo in dono la sapienza di riconoscere in Gesù la Verità e l’unico Salvatore; la docilità di essere raggiunti dalla sua visita redentrice; l’umiltà di lasciarci plasmare nel profondo a sua somiglianza, perché tutto, pensieri, parole e opere, si compia nel Nome del Signore Gesù.
Potrebbe interessarti anche