Visto quanto accaduto in Veneto, con il presidente Zaia che è andato sotto e la legge che si è inabissata, a Bologna per il progetto di legge sul fine vita hanno preso una bella scorciatoia, forse anche memori di come il Pd in Veneto abbia contribuito a far naufragare il progetto di legge presentato dall’Associazione Luca Coscioni. Con una semplice delibera (Num. 2596 del 09/02/2024) e l’emanazione di linee guida per le Asl la Giunta della Regione Emilia Romagna, guidata dal presidente Stefano Bonaccini, ha reso di fatto operativa la sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita.
La scorciatoia è duplice. Intanto si è sostanzialmente reso vano il confronto sulla legge che era atteso per martedì prossimo in assemblea legislativa a Bologna.
E poi perché la delibera si regge su un artifizio, l’invenzione di un Comitato etico sganciato da ogni parametro normativo nazionale, per obbligare i suoi ospedali a dare la morte in meno di 40 giorni. Ma si tratta di una vera e propria forzatura istituzionale e giuridica. Questo è il punto fondamentale.
La sentenza della Corte costituzionale 242/2017, per dare il parere circa la presenza dei requisiti che escludono il reato di “aiuto al suicidio”, ha individuato i Comitati Etici territoriali, che sono composti sulla base di una disciplina nazionale di riferimento (la legge Lorenzin n 3/2018, attuati con DM 26.1.23) e non comitati inventati da ogni regione.
Il CNB nel parere del 24.2.2023 ha ribadito che solo tali Comitati Etici territoriali, omogenei nel territorio nazionale, sono competenti a tale valutazione avente rilievo penale, escludendo i Comitati variamente composti dalle singole regioni, «per evitare che vi siano approcci troppo differenziati o addirittura contrastanti nella valutazione delle condizioni indicate dalla Corte costituzionale».
Si rimane perciò basiti nel leggere la delibera della Giunta emiliana, che cita il parere del CNB in senso opposto al suo significato e per avallare la libera creazione di Comitato regionali che il CNB voleva invece evitare. Non si può che stigmatizzare un sì strumentale distorcimento del significato di fondamentali indirizzi bioetici. Inoltre, con semplice decreto di un dirigente regionale si danno linee guide alle aziende sanitarie per «assicurare l’attuazione» di prestazione sanitarie di assistenza al suicidio, sulla base del parere del Comitato etico nominato autonomamente dalla Giunta regionale emiliana.
In questo modo, ogni regione applicherebbe a suo piacimento canoni che incidono sulla vita, sulla morte, sul diritto civile e sul diritto penale, materie tutte che, invece, non possono che essere disciplinate in modo uguale in tutto il territorio nazionale.
Inoltre, l’obbligo di “attuare” il suicidio (anche se deve avvenire recuperando medici su base volontaria) costituisce comunque una prestazione sanitaria nuova (LEA), che spetta solo allo Stato. Nemmeno l’associazione Coscioni, che almeno ha proposto leggi regionali (anch’esse palesemente illegittime per palese incompetenza), era arrivata a pensare che dare la morte in un ospedale pubblico potesse essere derubricato a un problema di tipo amministrativo. Già… chi può pretendere di amministrare la vita e la morte dei più deboli?
*Avvocato, Portavoce network Sui tetti
(Foto Imagoeconomica)
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