III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
Chiunque ha sperimentato almeno una volta in vita (e i più fortunati anche in diverse occasioni) quella prontezza causata dalla gioia dell’attesa. Mi ripenso fanciullo quando la mattina di Natale, non senza trepidazione, mi alzavo scattante, nonostante la sera prima avessi fatto tardissimo a motivo della Messa di mezzanotte. Ma la contentezza nel poter aprire i regali era così trascinante che non percepivo la fatica. Sono persuaso che, nella medesima situazione, tutti i bambini sono uguali: nessuna pigrizia può trattenerli dal desiderio di afferrare una felicità a portata di mano.
Mi soffermo sulla parola “prontezza” e mi sovviene la chiamata dei primi discepoli a opera del Cristo raccontata dal Vangelo di Marco. Nessun indugio, nessuna scusa, nessun procrastinare davanti all’invito del Maestro: Simone e Andrea, subito lasciarono le reti e lo seguirono. Il brano, inoltre, annota che andando un poco oltre, vide Giacomo e Giovanni suo fratello e, in questo caso, fu Gesù subito a chiamarli. Prontezza nell’andare e nel convocare, e una domanda mi sorge nel cuore: sarei stato pure io pronto a lasciare le reti (il lavoro che dà sussistenza) o il padre (gli affetti più cari) o le comodità di una vita ripiegata sui propri progetti per diventare pescatore di uomini?
Medito sul fascino del Figlio dell’uomo e del suo passaggio così attrattivo, tanto che uno è disposto a tutto per seguirlo, persino ad accettare la croce. Sì, perché l’entusiasmo iniziale della vocazione può lasciare il passo al tedio del quotidiano, alla noia dei giorni che trascorrono identici nel logorio di una vita consumata per conto terzi. Faccio un salto nel mondo letterario e imparo che la risposta alla chiamata non è sempre facile da realizzarsi quando comporta la rinuncia di sé. È quanto sperimenta il protagonista de Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien: Frodo al Consiglio dei saggi comprende che il fardello dell’Anello – la croce – spetta a lui e a lui solo. Non è pronto, ha paura, è spaesato, ma intuisce che è proprio lui a essere chiamato per quel viaggio il cui preciso scopo è distruggere il male: «Infine – si legge nel romanzo –, con grande sforzo, parlò, meravigliandosi di udire le proprie parole, come se qualche altra volontà comandasse la sua piccola voce. “Prenderò io l’Anello”, disse».
Non ci è imposto, non siamo obbligati a essere cristiani, eppure abbiamo l’alta vocazione di scegliere con libertà il Bene. L’invito da parte del Salvatore a seguirlo necessita una risposta che deve essere mantenuta lungo il corso del tempo. Quando avvertiremo la stanchezza del cammino, della coerenza e della responsabilità, si dovrà tornare a quel “Sì!” di risposta, a quella risoluta decisione di andare dietro a Cristo. Oggi purtroppo, forse per il sovrappeso delle cose che possediamo e che vogliamo possedere (materiali e virtuali) o per l’incapacità di cogliere ciò che è davvero prioritario, cerchiamo di aggiustare la nostra fede. Non seguiamo più il Signore laddove ci conduce, ma cerchiamo di manipolare (piegandola ai nostri scopi) la parola di Dio secondo il nostro gusto e il nostro tornaconto.
Non tentiamo neppure di capire nel suo significato più profondo e vero il messaggio evangelico e quando si fa “duro” lo edulcoriamo con interpretazioni facili, a portata di mano, di chi preferisce stare fermo anziché camminare. E viviamo in continui paradossi, mutiliamo la verità, rigiriamo la realtà e la riplasmiamo secondo nuovi modelli, che si allontanano dall’unico concepibile cristianamente, che coincide con il Verbo incarnato. I segnali del rifiuto di voler essere autentici discepoli di Cristo si ritrovano nella semplificazione o censura della dottrina – che altro non è che la riproposizione delle verità di fede che valgono per ogni credente –, nella mistificazione dell’insegnamento della Chiesa, nella mancanza dell’umiltà di saper prima ascoltare e poi agire (e agire rettamente).
Rifiutando di ascoltare ciò che è verità (anche quando richiede il nostro sacrificio) ci si abbassa a una mentalità antievangelica e ci si dimentica di far parte del Popolo di Dio. Difatti, con i nostri peccati, i nostri errori, il male che compiamo diventiamo traditori, oltre che del Signore anche della Sua Sposa, la quale rimane immacolata nonostante le nostre azioni malvagie. E senza Chiesa non c’è salvezza, non esiste cioè quella mediazione che permette alla redenzione di attuarsi nella nostra vita. Questo ci fa capire quale strada dobbiamo intraprendere, perché esiste un luogo in cui possiamo rispondere all’Altissimo, sentendoci pronti a volerlo seguire, anche quando la mèta sembra solo essere il Calvario e la croce lungo la salita si fa oltremodo pesante. Per grazia, la luce accecante di divine parole illumina la via e dà forza anche al passo malfermo: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo.
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