La vita non è una favola neanche per i personaggi delle favole! Ebbene sì, anche Biancaneve e le varie principesse che ci hanno insegnato, con il loro esempio, a resistere alle intemperie della vita, grazie ad un cuore buono e ad un irriducibile forza di volontà, per poi vedere il loro impegno ricompensato con l’amore che meritavano (eterno e indissolubile) oggi, non se la passano proprio benino, se da esempi positivi, vengono additate, parola di Paola Cortellesi, come addirittura la causa del “machismo” denunciato nel suo film “C’è ancora domani” e che, in fondo, caratterizzerebbe anche la nostra società attuale.
Ebbene sì, perché in un lungo discorso tenuto alla Luiss Guido Carli, nei giorni scorsi, la nota attrice e regista si è soffermata sugli “stereotipi sessisti” denunciati nelle favole classiche che hanno nutrito la fantasia e l’immaginario di intere generazioni di bambine. In particolare si è interrogata sul ruolo della bellezza di Biancaneve sulla decisione del cacciatore di trarla in salvo: «Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso?». Non solo, la lente di ingrandimento è puntata anche sui personaggi cattivi che, sottolinea la Cortellesi sono sempre femminili: la strega cattiva, la matrigna ecc. mentre il potere salvifico è affidato, accusa l’attrice, sempre ai maschi: principi, cacciatori ecc.
Per non parlare poi, ha continuato, del fatto che le eroine vengono ritratte sempre alle prese coi lavori domestici: «Biancaneve faceva la colf ai sette nani» ha fatto notare indignata la Cortellesi – che recentemente si è dichiarata favorevolissima all’educazione sessuale nelle scuole (iniziativa ideologica e pericolosa come dimostra il nuovo Timone di gennaio, qui per abbonarsi) – che, chissà, potrebbe in futuro proporsi come testimonial di un sindacato dedicato alle principesse vittime di demansionamento rispetto al loro status, causa mentalità sessista diffusa e anche interiorizzata, volendo, per non farci mancare niente. Ma, poi, nella realtà è veramente così?
A questa domanda ha provato a rispondere, nel 2020, un lavoro intitolato Examining the impact of fiction literature on children’s gender stereotypes, apparso sulla rivista Current Psychology che ha visto le sue autrici sì registrare come l’«esposizione prolungata» a testi e fiabe egualitari «possa ridurre», specie nei bambini maschi, l’adesione agli stereotipi di genere, senza però, attenzione, poter dimostrare nulla sugli effetti a lungo termine e sui comportamenti che, da adulti, i piccoli lettori di quelle favole avranno. Quindi possiamo concludere come, fino a prova contraria (che però Paola Cortellesi si è guarda bene dal condividere), non ci sia alcun elemento che provi che le fiabe possano veicolare stereotipi duraturi.
Con quale capro espiatorio prendersela, allora? In realtà c’è un’abbondante letteratura, citata anche in Maschio bianco etero e cattolico (Il Timone 2023) il nuovo libro di Giuliano Guzzo, che dimostra come un come un fattore di rischio per i giovani, che più che renderli semplicemente sessisti, li rende violenti a 360 gradi, sia l’assenza della figura paterna. E allora perché, anziché fare discorsi da bar prendendosela semplicemente con le fiabe, non si punta l’attenzione sulla disgregazione familiare, alla base di molti disagi giovanili e che si può definire una vera e propria emergenza sociale? Forse perché in questo modo si rischierebbe di diventare impopolari, remando contro la cultura dominante? La domanda è lecita! (Fonte foto: Imagoeconomica/La Stampa)
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