Il tempo deciderà se “Ferragnez”, neologismo entrato nella Treccani (la lingua è viva e si evolve, dicono) meriterà di essere ricordato. Intanto su Chiara Ferragni, l’influencer più ricca e osannata d’Italia, cade una brutta tegola: oltre 1 milione di euro di multa a due società a lei riconducibili, la Fenice e la TBS Crew. Pubblicità ingannevole a scopo di lucro (sulla pelle dei bambini), questa l’accusa, che al netto di eventuali ricorsi vinti e ospitate televisive riparatrici, per chi fa dell’immagine pubblica il core business del proprio lavoro non deve essere un danno propriamente da nulla. «Le suddette società», scrive l’Antitrust, «hanno fatto intendere ai consumatori che acquistando il pandoro “griffato” Ferragni avrebbero contribuito a una donazione all’Ospedale Regina Margherita di Torino. La donazione, di 50 mila euro, era stata invece già effettuata dalla sola Balocco mesi prima». La pratica commerciale con cui è stato pubblicizzato il Pandoro Pink Christmas griffato Ferragni avrebbe dunque raggirato i consumatori, spingendoli a comprare il dolce natalizio per contribuire a una donazione all’ospedale Regina Margherita di Torino. Lo scopo? L’acquisto di un macchinario capace di curare il sarcoma di Ewing. Naturalmente una malattia rarissima. Naturalmente per salvare bimbi malati. Naturalmente col favore del Natale. Tutta questa trabboccante solidarietà a patto che mamma o papà comprassero non la versione base del pandoro Balocco (3 euro e 70 centesimi), bensì quella totalmente identica nella sostanza ma venduta a 9 euro perché “firmata” dall’influencer in versione crocerossina.
PANDORI, ONG E STIVALI
Nulla di nuovo sotto il sole. Ma se la (noiosa) vicenda deve insegnare qualcosa, questo qualcosa va proustianamente cercato nella prudenza perduta di troppi. Gli scandali passano, gli altarini si svelano, le maschere cadono: tutto parla dell’ipocrisia dei “buoni”, eppure l’incantatore di serpenti di tutte le latitudini continua a fare centro. La storia non insegna, anche se è storia recente. Il cinismo con cui Luca Casarini ha gestito carichi di migranti, pur con la pesante rete di ingenui sodali invischiati nel caso, sarà presto dimenticato. Eppure l’ex no-global (oggi in ottimi rapporti con la CEI) stando alla carte della Guardia di Finanza appare come «una macchina da soldi pronta a farsi pagare per togliere dall’imbarazzo navi commerciali costrette a imbarcare profughi» (così Luca Fazzo ieri sul Giornale). Dimenticheremo presto anche il moralismo d’accatto del tuttora deputato della repubblica Aboubakar Soumahoro, entrato in parlamento con gli stivali per vendere l’illusione di essere il difensore di quei poveri lavoratori della Capitanata che la sua banda lasciava vivere in condizioni disumane (veniva prima il «diritto all’eleganza» della moglie appena mandata a processo). «Portiamo questi stivali in Parlamento, gli stessi che hanno calpestato il fango della miseria. Portiamo gli stivali della lotta nel Palazzo per rappresentare sofferenze, desideri, speranze. Per chi è sfruttato e chi ha fame. Coi piedi saldi nella realtà». Con tweet come questi (invecchiati a dir poco male), l’amico degli sfruttati diventava il re indiscusso della propaganda (e di Propaganda Live). Un altro uomo buono, anzi buonissimo, è il super inclusivo Alessandro Zan, chiamato a rispondere (per ora da Report, vedremo se anche dai giudici) del fiorente fatturato delle sue attività imprenditoriali, per il Fatto Quotidiano «in pieno conflitto di interessi con la comunità Lgbtq+».
«CONTRO L’EMPATIA»
Per difenderci da lacrime facili, ONG dalla doppia morale, femministe che “sanzionano” a suon di molotov e pandori col trucco, Paul Bloom, esperto di psicologia e collaboratore del liberal New Yorker, ha scritto un libro illuminante: Contro l’empatia. Una difesa della razionalità (Liberilibri). E se è vero che la parola “empatia” gode di ottima stampa, Michele Silenzi, curatore dell’opera, scrive che Bloom «la paragona ad un riflettore del palcoscenico che riesce a illuminare con forza solo una piccola porzione della scena, facendosi credere che ciò che vediamo sia tutto ciò che c’è lasciando il resto in ombra». Luce sul pandoro salva-bimbi, sulle navi salva-migranti, ombra sugli inganni. Tanti, troppi.
AMANTI DELL'”UMANITÀ” (NON DELL’UOMO)
Bene allora che dopo la multa dell’Antitrust il Codacons avvii «un’azione legale contro la Balocco e Chiara Ferragni, chiedendo ai due soggetti di rimborsare il costo del pandoro a tutti i consumatori che hanno aderito all’iniziativa di solidarietà». Bene anche che «a difesa degli utenti che hanno diritto alla massima trasparenza», Codacons chieda all’Autorità per le comunicazioni «di incrementare i controlli sui messaggi pubblicitari legati a iniziative di solidarietà lanciate dai Ferragnez». Ma affinché la solidarietà non risulti cieca e controproducente, più spesso prudenza e cervello andrebbero messi al posto di pancia e sentimentalismo. La beneficenza è cosa seria: in assenza di mediatori affidabili, se non si sa dove vanno a finire i soldi, meglio non donare (le spregiudicate operazioni dei Gates e dei Soros dovrebbero aver chiarito ai più che la filantropia non è la versione laica della carità, ma il suo contrario). Solo un serio discernimento, così centrale nella vita di un cristiano, aiuta a difendersi dallo sprezzo per gli uomini (bambini compresi) di quelle influencer à la page così petalosamente amanti dell’Umanità. (Fonte foto: Imagoeconomica)
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