«Siamo testimoni oggi, soprattutto in Occidente, di uno smantellamento dei valori della fede e della pietà… e di una distruzione delle forme della messa». Lo ha detto parlando ai liturgisti africani, ma il cardinale Robert Sarah, già prefetto al Culto divino, lo ha sottolineato per rafforzare un concetto che invece ha rivolto agli africani stessi.
«Lavoriamo per cospargere la liturgia di elementi africani e asiatici, snaturando così il mistero pasquale che celebriamo. Diamo così tanta importanza a questi elementi culturali che le nostre celebrazioni a volte durano sei ore», ha detto il cardinale lo scorso 4 dicembre aprendo il pioneristico Congresso internazionale dei liturgisti africani nella capitale del Senegal, Dakar. «Le nostre liturgie», ha proseguito, «sono spesso troppo banali e troppo rumorose, troppo africane e meno cristiane».
Quindi, il passaggio che in qualche modo tiene insieme il richiamo alla distruzione delle forme della messa in Occidente con gli eccessi della cosiddetta inculturazione in Africa. E cioè, ha detto Sarah, «se consideriamo la liturgia come una questione pratica di efficienza pastorale, corriamo il rischio di trasformarla in un’opera umana, in un insieme di cerimonie più o meno riuscite», un florilegio di «improvvisazione della creatività» che il cardinale ha sottolineato essere la deriva che ha seguito la Sacrosantum concilium, vale a dire la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II promulgata proprio 60 anni fa il 4 dicembre 1963.
«Da 60 anni», ha detto Sarah, «constatiamo che anno dopo anno la riforma liturgica accompagnata da tanto idealismo e grandi speranze da parte di tanti sacerdoti e laici si rivela una valanga di improvvisazione della creatività e una desolazione liturgica invece del rinnovamento della Chiesa e della vita ecclesiale».
Per il cardinale sono «tre le cose necessarie per fare una religione: primo, le credenze; secondo, regole per vivere; e terzo, i riti di culto». Così ha ricordato che «quando le credenze raggiungono uno stadio di elevata perfezione, diventano dogmi o verità di fede. Quando le regole di vita sono precise e giuste, costituiscono una legge divina, e quando i riti sono fissati e definiti, non sono soggetti all’improvvisazione, alla creatività o alla fantasia dei sacerdoti; formano una liturgia».
«Ogni religione deve essere giudicata da queste cose: dalla sua moralità e dalla sua liturgia. Sotto questo triplice rispetto la religione cristiana non teme paragoni; è di gran lunga superiore a tutti gli altri».
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