Una grande mobilitazione online partita in primis da Giorgio Celsi, infermiere fondatore e presidente dell’associazione Ora et labora in difesa della vita e accolta anche da Pro Vita & Famiglia ha portato alla raccolta di oltre centomila firme, per l’esattezza 106.000 – dunque più del doppio del minimo previsto dalla Costituzione per la proposta di legge di iniziativa popolare “Un Cuore che Batte” depositata in Cassazione il 16 maggio. La proposta vuole introdurre nell’articolo 14 della 194 il comma 1-bis: «Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza ai sensi della presente legge è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso». Ne abbiamo parlato con Maria Rachele Ruiu del direttivo di ProVita & Famiglia
Nonostante tutto e tutti, la proposta di legge “Un cuore che batte” ha raccolto 100.000 firme. Ora le firme sono state depositate alla Camera dove la proposta verrà calendarizzata. Avete incontrato difficoltà in questo percorso? «Intanto questo risultato dimostra che c’è un popolo per la vita in Italia, che non vuole lasciare indietro nessuno, che vuole custodire la vita a 360 gradi, dal bambino più piccolo all’anziano in ospedale, che è pronto ad impegnarsi, ad andare anche in municipio e a fare banchetti informativi ed è pronto anche ad andare contro un’ideologia che ha reso a volte difficile questa raccolta delle firme. Accolgo tutto questo con gioia: in Italia c’è un popolo disposto a perdere la faccia pur di difendere i più piccoli e che è stato insultato con l’attacco alla sede di ProVita & Famiglia.
Questa proposta può essere migliorabile, ma vuole accendere il faro su un fatto: che l’aborto elimina uno di noi, che bisognerebbe dare alle donne tutte le soluzioni perché possano superare tutte le difficoltà che ci sono di fronte ad una gravidanza inaspettata o difficile o fragile e bisognerebbe mettere le donne nelle condizioni, dopo aver loro dato tutte le soluzioni, di accogliere la loro libertà ma anche quella del figlio e di poterlo conoscere questo bambino. Oggi si racconta la bugia del “grumo di cellule” e queste donne hanno tutto il diritto di conoscere quello che vanno a fare».
Questa proposta andrebbe a “mitigare” la legge sull’ aborto in qualche modo? «Nota di colore molto grave è che le femministe di Non una di meno o le trans femministe e in genere, le ideologie che si dicono a favore delle donne, si concentrano solo sull’aborto: non pensano di accogliere la fatica e il dolore della donna prima, per proporgli altro e non accolgono il dolore e la fatica della donna nemmeno dopo, perché molte di queste donne vanno poi dalle associazioni prolife che danno, invece, loro, cittadinanza. Le donne oggi non sono libere, perché non si può nemmeno parlare di aborto o di vita, perché vieni subito giudicato come eversivo, pericoloso».
Quindi come commenterebbe questa grossa mobilitazione online? «Questo è un passo per noi importante per dimostrare cos’è veramente l’aborto, è un modo per restituire un mondo più giusto ai nostri figli, un mondo in cui alle donne non viene presentato il figlio come un problema, ma in cui le donne vengono aiutate con tutte le soluzioni possibili per rispondere alle difficoltà che una gravidanza difficile può portare». (Fonte foto: Imagoeconomica/Pexels.com)
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