La diagnosi che ha ricevuto questa donna, tumore all’addome al quarto stadio, non è stata la notizia più terrificante che ha ricevuto dal momento che ha scoperto di essere affetta da una grave patologia. La cosa peggiore è stata l’opzione che le hanno proposto per “risolvere” il problema, ovvero morire. Senza scomodare complicate ambientazioni distopiche basta guardare dritto in faccia ciò che avviene in paesi dove la legislazione sull’eutanasia fa talmente tanti progressi da scoraggiare o rendere meno preferibili (perché più onerosi) quelli in ambito terapeutico, chirurgico o farmacologico che sia, come il Canada in questo caso.
La protagonista di questa storia, Allison Ducluseau, vive sull’isola di Vancouver e fino ad allora era sempre stata felice di essere cittadina canadese, ma se si fosse affidata al servizio sanitario del suo stato ora non starebbe raccontando quello che le è successo, né si sarebbe sposata col compagno di una vita, né avrebbe ripreso a correre, fare sport e molte altre attività che la prima prognosi ricevuta le aveva fatto cancellare dall’orizzonte. Due mesi di vita, questo le sarebbe aspettato, meglio se abbreviato e addolcito dalla MAID, Medical Assistance In Dying (Assistenza medica a morire, Ndr).
Tutto è iniziato l’anno scorso al Ringraziamento quando ha iniziato a sentire dolore all’addome, racconta la donna su Global News. Forse dipendeva semplicemente dall’eccesso di cibo legato alla festività, sperava, ma poiché il dolore è persistito per settimane ha deciso di presentarsi dal medico, che ha prescritto test diagnostici per i quali, e questo immagino ci suoni trastemente familiare, sarebbe stato necessario attendere settimane. Troppo, in questo caso. L’odissea di Allison e della sua vicenda sanitaria prosegue, spinta dal progressivo peggioramento delle sue condizioni.
L’ipotesi diagnostica paventata è tremenda: carcinomatosi peritoneale, ovvero tumore addominale diffuso a tutta la cavità. Lo conferma la biopsia; prospettive? Per il medico di base l’opzione più indicata e che immaginava le sarebbe stata proposta era una procedura chiamata HIPEC, che comporta la somministrazione di alte dosi di chemioterapia nell’addome per uccidere le cellule tumorali. Ma quando ha visto il chirurgo presso la BC Cancer Agency a gennaio, ha detto che le era stato detto che non era una candidata per un intervento chirurgico.
Ciò che si è vista proporre consisteva in un invito al commiato, da sbrigarsi in fretta e buon ordine e, se avesse voluto, facilitato da assistenza medica. In sintesi: se vuoi ti aiutiamo a morire. «È stato onestamente il giorno peggiore della mia vita», racconta Allison. Al pensiero che i suoi figli avrebbero dovuto vivere senza loro madre decide di non arrendersi e di cercare altre opzioni di trattamento. In effetti da una struttura medica tendiamo ancora ad aspettarci soluzioni di cura e non acceleratori della nostra fin troppo evidente mortalità.
Sarà il Dottor Armando Sardi, al Mercy Medical Center di Baltimora, a prenderla in carico e a proporle esattamente quella procedura per cui nel suo paese era stata ritenuta inadatta. Ciò che la scandalizza è che con sospetta rapidità sia stata caldeggiata la sua candidatura per una procedura eutanasica. Che sta facendo il ministro della Salute, Adrian Dix, si chiede Allison, per migliorare il sistema oltre alle numerose e vane promesse?
Ora sta bene, si sente in grande forma, si è sposata alle Hawai con il suo compagno, ha ripreso a lavorare, gioca a golf, ha ricominciato a correre.
Ciò che di sicuro prevale nella sua vita è la gratitudine, ma non manca la rabbia e il senso di ingiustizia per il pericolo a cui è stata esposta dal proprio paese, insieme al desiderio di cambiare le cose. Lei ,come molti altri pazienti, si è dovuta accollare tutte le ingenti spese sanitarie per affrontare l’intervento e le cure negli USA e sta lottando per ottenere dal proprio sistema sanitario il rimborso che ritiene dovuto. No, per la BC Agency non è così; sono “gli standard, baby”. In Canada il cancro di Allison a quello stadio non prevedeva di essere curato con la HIPEC, per cui si è vista rispondere che “i servizi che hai scelto di ricevere negli Stati Uniti non sarebbero stati il trattamento raccomandato per la tua diagnosi di cancro”.
Ora, in una situazione in cui il generale buon senso ancora prevalesse fra i più, ci si aspetterebbe che questa donna, cittadina canadese che ottempera da anni ai propri doveri civili e fiscali, ricevesse delle scuse. Invece ciò che le viene riservato è la “giusta” punizione per non avere seguito i protocolli che si era vista suggerire in Canada. Colpa sua che non ha voluto procedere a ulteriori indagini, come una colonscopia e una laparoscopia, spiega stizzito il burocrate sanitario della BC Agency.
Il passo successivo, coerente con questa tendenza ormai più che conclamata nei paesi cosiddetti avanzati, sarà quello delle autocandidature (fenomeno già visibile, purtroppo). Sei diventato inutilizzabile, la tua condizione fisica o anche psichica richiede alla collettività “costi di manutenzione” troppo onerosi? Dimostra il tuo senso civico, presentati in piena libertà e autonomia ai centri di eliminazione slash smaltimento rifiuti. Probabilmente in questa visione saranno ritenuti accettabili anche “i servizi religiosi”, come semplice benefit spirituale alla customer experience del moribondo per autodeterminazione, uno dei dogmi del pensiero nichilista. Per fortuna la fede cattolica, se vissuta con integrità fino a farla maturare in cultura, non accetta di essere ridotta a blanda e ininfluente forma di consolazione, quando i giochi sono già stati fatti da altri. Si gioca sempre in mezzo alla realtà, così come essa si presenta, anche quando sembra davvero impresentabile. (Fonte foto: Screenshot Global News, Youtube)
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