In questi giorni, alla luce dei recenti episodi di cronaca nera, ultimo tra tutti l’omicidio di Giulia Cecchettin, uccisa per mano del suo ex fidanzato, si parla tanto di violenza sulle donne. Anche il Timone se ne sta occupando e stavolta, ha deciso di interrogare un’esperta: Antonella Baiocchi psicoterapeuta, esperta in Criminologia. Per 5 anni, assessore alle Pari Opportunità del Comune di San Benedetto del Tronto e «salita alla ribalta nazionale per essere stata il primo amministratore pubblico d’Italia che ha coraggiosamente contrastato il “politicamente corretto” che impone il ruolo di carnefice solo agli uomini e il ruolo di vittima solo alle donne»– come dice Lei stessa, che è anche, infine, autrice del saggio La violenza non ha sesso (Alpes edizioni)
Dottoressa, che idea si è fatta del dibattito sulla violenza di genere che è in corso in questi giorni in Italia? «Stanno tutti annaspando alla ricerca di capire da dove origina la violenza e a turno si accanisce su capri espiatori. Ma lo dico chiaro: sono fuori strada e il perché l’ho spiegato nel mio libro La violenza non ha sesso ovvero di come sia necessario superare la visuale unidirezionale della violenza: cioè agita solo dall’uomo nei confronti della donna, escludendo o relegando a insignificanti eccezioni, l’ipotesi che la violenza possa essere subita e/o agita da entrambi i sessi. Spiego che il Killer da combattere non ha a che fare col genere maschio, ma con una matrice culturale tossica (analfabetismo psicologico) che riguarda tutte le persone indipendentemente dal Genere».
Partiamo proprio dalla matrice Culturale che lei chiama Analfabetismo Psicologico-Relazionale. Ce ne parla? «Da sempre al fianco delle persone discriminate e vittime di violenza a disparità di diritti, ho sempre dedicato una particolare attenzione alla comprensione dei drammi che si consumano tra le mura domestiche e nell’ambito affettivo. Quando ho capito come funzionava la mente dell’essere umano, ho capito che al di là del genere – che una persona fosse uomo, donna, transgender, ermafrodita o eunuco – ove fosse presente una mentalità tossica lì c’era terreno fertile per la violenza verso gli altri e verso sé stessi. Nel libro La Violenza non ha sesso, per farmi comprendere anche dai profani di psicologia, ho chiamo questo il liller da combattere “Analfabetismo Psicologico e Relazionale”. Nei confronti del funzionamento della psiche, invece, c’è una generale e profonda incompetenza, che sono solita chiamare analfabetismo psicologico, talmente profonda da non essere riconosciuta dalla gran parte di persone la quale, generalmente è convinta invece, in fatto di Psiche, di saperne quanto basta. Chi è affetto da Analfabetismo Psicologico è necessariamente affetto da analfabetismo relazionale, perché il rapporto con l’interlocutore si gioca prevalentemente nell’incontro tra le rispettive psiche, tra i reciproci mondi Interiori, sui quali non si ha sufficiente padronanza: con disastrose conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Un’altra conseguenza dell’Analfabetismo Psicologico (tra le più gravi) è il Pensiero Dicotomico, un vero e proprio programma infetto che, basandosi sulla tossica pretesa di conoscere dove sia la verità assoluta, spinge la Persona ad elaborare gli eventi in termini assolutistici (tutto o niente, bianco o nero, cento o zero, vero o falso) senza possibilità di vie di mezzo. Il Pensiero Dicotomico, crea la discriminazione: in ogni ambito di vita dove ci si crede possessori di verità assoluta, del modello considerato giusto, vero, normale (e si ignora il valore del punto di vista e della relatività) per forza maggiore si è indotti a discriminare (a ritenere sbagliato, di non valore, errato) chi non è conformato a questo modello. Negli ambiti in cui si discrimina non si riesce ad attuare il rispetto delle reciproche diversità e c’è terreno fertile per la proliferazione della disparità di diritti, della prevaricazione e della violenza. Una delle conseguenze del Pensiero Dicotomico (della pretesa di sapere ove sia il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso) è infatti la Gestione Dicotomica delle Divergenze, una tossica mappa che induce a risolvere le divergenze con una modalità che prevede come unica soluzione possibile la supremazia di uno dei due poli oggetto della controversia: necessariamente l’interlocutore che si trova in una posizione di potere tenderà a pretendere che l’interlocutore che si trova in una situazione di vulnerabilità, si conformi alla propria Verità. Tenderà cioè a prevaricare, a sottomettere chi è vissuto “in errore”. A causa di questa tossica modalità di gestione delle divergenze, giorno dopo giorno, la quotidianità domestica e in particolare, la relazione affettiva, si trasformano, in un’arena conflittuale in cui hanno spazio solo gli interlocutori in posizione di potere a discapito degli interlocutori in posizione di vulnerabilità: una bomba ad orologeria destinata a scoppiare».
Cosa ne pensa del dibattito sul patriarcato e della esternazione effettuata dalla sorella di Giulia “Gli uomini sono figli della mentalità patriarcale?” «Si tende a legare il patriarcato al Genere Uomo. Ma questo è un errore: il Genere Uomo è solo un fatto contingente occasionale. Un tempo, in posizione di potere ci si trovava l’uomo, il quale prevaricava ed agiva violenza verso tutti coloro che erano considerati inferiori e sbagliati. Il fulcro del patriarcato va individuato principalmente in questa mentalità dicotomica e discriminante: il sesso della persona in posizione di potere è un fatto contingente, accidentale. Per debellare il patriarcato bisogna smettere di fare la guerra al maschio: è necessario capire che il nemico delle donne e di qualsiasi altra categoria di vittime risiede in questa tossica, mentalità prevaricatrice, dicotomica e discriminante, posseduta sia dagli uomini che dalle donne».
Molti uomini anche famosi nelle scorse ore hanno detto di “vergognarsi di essere maschi”. Come giudica un simile atteggiamento? «Se si comprendesse la prospettiva che propongo, uomini e donne smetterebbero di farsi la guerra e si concentrerebbero sul fattore educativo che riguarda entrambi. È necessario superare l’atteggiamento dicotomico che solitamente si cavalca: chi difende le donne va contro gli uomini, chi difende gli uomini va contro le donne! Sono fermamente convinta che questo atteggiamento non porti a nessuna evoluzione ma alimenti la violenza che si vuole contrastare».
Perché della violenza sugli uomini si sente parlare così poco? «A livello mediatico le violenze subite dagli uomini passano sottogamba mentre quelle subite dalle donne sono enfatizzate. A livello statistico si assiste ad una situazione tra le più grottesche. È risaputo che per giustificare l’esclusione degli uomini dalla tutela si ricorre alla argomentazione della rilevanza statistica delle donne vittime di violenza rispetto agli uomini: una motivazione grottesca per due seguenti motivi. Primo perché in Italia non esistono indagini sulla violenza subita dagli uomini in ambito domestico e affettivo: si indaga solo la violenza sulle donne! Inoltre, anche se una futura comparazione tra reciproci, seri dati confermasse la minoranza statistica delle vittime maschili rispetto a quelle femminili, c’è da porsi una imbarazzante domanda: da quando le minoranze numeriche non hanno diritto a cure e tutela? Inoltre quando si parla di violenza psicologica, si tratta di ferite che non procurano né ematomi, né sangue che ne segnalino la presenza e che possono essere riconosciute solo da chi possiede adeguate competenze psicologiche-relazionali. Non a caso le violenze psicologiche sono definite dalla gran parte del mondo scientifico come le più subdole tra le violenze, in quanto l’Analfabetismo Psicologico impedisce agli adulti non solo di riconoscere le azioni che fanno sanguinare l’anima, ma anche di intercettare la sofferenza psicologica dei loro figli».
Qual è secondo la sua esperienza il miglior antidoto alla violenza? Non sarà che dobbiamo sperare che siano le famiglie – senza delegare questo compito alla scuola o addirittura ai mass media – a tornare a svolgere al meglio il loro? «Alcuni suggerimenti per contrastare l’analfabetismo psicologico e relazionale: in attesa di una società alfabetizzata, bisognerebbe rendere la psicoterapia un servizio accessibile a tutti e non solo a chi ha disponibilità economica; si potrebbe istituire la figura professionale dello Psicologo di Base, un professionista convenzionato come il medico di famiglia. Ancora, rieducare i maltrattanti di ogni Genere, tutelare ogni vittima indipendentemente dal Genere: garantendo la tutela dei diritti delle vittime e infine abbandonare ogni linguaggio che alimenta la discriminazione di genere: compresi coloro che lavorano nell’ambito delle Pari Opportunità, che nella tutela delle donne dovrebbero smettere di fare la guerra all’Uomo ma aprirsi a capire che le non sono vittime di un Genere, ma della mentalità tossica di persone di qualsiasi genere. La matrice della violenza che propongo, non comporta alcun pericolo per la tutela delle donne: mira a dare tutela alle vittime oggi invisibili e discriminate, a riconciliare uomini e donne e promuovere la loro alleanza nel combattere il vero killer alla base della violenza: l’Analfabetismo Psicologico-Relazionale» (Foto: Imagoeconomica)
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