Il suo ultimo libro, Fedeltà e rinnovamento (Ed. Ares), è un’opera di saggezza. Non è un testo facile, ma è un testo che merita di essere letto con la matita in mano, pronti a sottolineare e riflettere. Si dirà che sono cose poco alla moda, ma dal cardinale Ennio Antonelli, classe 1936, ci arriva una lezione che ha poco a che fare con le mode e molto, invece, con le cose perenni. Questa idea di serena fermezza che emerge conversando con lui è l’antidoto più potente oggi, dove tutto, fuori e dentro la Chiesa, sembra mutare con troppa facilità.
Eminenza, lei dice di aver scritto questo libro a causa di una «pericolosa e deviante tendenza teologica» in atto nel mondo cattolico. A cosa si riferisce?
«Mi riferisco a una tendenza piuttosto diffusa in Europa che interpreta il cristianesimo in modo riduttivo: la fede sarebbe solo un’esperienza vitale, pratica, senza verità da credere. Secondo alcuni teologi, non è possibile nessuna conoscenza di Dio mediante nozioni umane concettuali e non sono possibili interventi speciali di Dio nella storia. Perciò non…
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