In una terra difficile, in cui i talebani pakistani hanno ripreso a farla da padroni, lo spirito evangelico di pace e mitezza di San Francesco d’Assisi rivive. Siamo nel Balochistan, provincia del Pakistan, al confine con l’Afghanistan e l’Iran. Regione che si colloca nella parte sud-occidentale del Paese e conta circa 20 milioni di abitanti. Parliamo di un territorio tormentato da numerosi problemi, tra cui il sottosviluppo e la povertà.
La maggioranza della popolazione della provincia è musulmana sunnita, ma nella regione montuosa al confine con l’Afghanistan, sono emersi i cosiddetti “Talebani pakistani”, gruppi etnici pashtun che si sono coagulati in organizzazioni terroristiche come “Tehrik-e –Talebani Pakistan”. Quest’ultima formazione ha recentemente ripreso gli attacchi terroristici in tutto il Paese.
Infatti, secondo un rapporto pubblicato dal Centro indipendente per la ricerca e gli studi sulla sicurezza di Islamabad, nell’ultimo anno, sono aumentati gli attacchi terroristici, che nel 2023 hanno già causato la morte di oltre 700 membri delle forze di sicurezza e civili, molti dei quali nel Balochistan e nell’altra provincia del Khyber Pakhtunkhwa, nel nord-ovest del Paese. Il rapporto rileva che il numero delle vittime di attacchi è aumentato del 19% quest’anno, rispetto al 2022 e che le due province pakistane al confine con l’Afghanistan hanno riportato addirittura il 92% delle vittime.
Insomma, in un clima simile, il carisma di San Francesco d’Assisi, costituito, al contrario, da uno sguardo di pace verso l’altro, improntato alla “fraternitas” incredibilmente rivive tra i fedeli cattolici del Vicariato Apostolico di Quetta, capitale del Belucistan. Parliamo di una piccola Chiesa dispersa in un territorio ostile che ha portato religiosi e laici a mettersi al servizio degli altri, con umiltà e compassione. Ed è padre Khalid Rehmat, frate francescano e vescovo, a parlare di questa comunità di 34.000 anime distribuite in nove parrocchie, sette delle quali a Quetta, che dal 2021 guida.
In questo delicato contesto, mons. Rehmat spiega con parole semplici cosa significhi «essere cristiano nella terra dei talebani». Ovvero: «Essere piccolo, debole, povero. Per molte delle nostre comunità, la vita è molto difficile dal punto di vista economico e geografico. Le strade che portano alle città sono impraticabili, non c’è accesso all’istruzione o ai servizi sanitari. Ma viviamo in pace, con umiltà, senza pretese, confidando ogni giorno nella Provvidenza di Dio. Sappiamo che essere qui è un dono di Dio», sottolinea. La traccia che guida la sua fede è «l’esperienza di Francesco d’Assisi, che ho seguito nella mia vocazione di sacerdote francescano» – dice- «da Lui impariamo ad aprirci al prossimo, a professare Gesù Cristo, che è carità, amore per tutti», specifica.
Il vescovo fa parte di una straordinaria missione di frati cappuccini presenti in Pakistan dal 1886, che ha contribuito molto alla crescita della Chiesa pakistana, fondando città, costruendo chiese, scuole, ospedali, centri sociali, e che costituisce la provincia religiosa “Custodia Mariam Siddeeqa”, con sede a Lahore, Punjab. Il territorio del Belucistan è caratterizzato, dice il prelato, da popolazioni tribali «con cultura e mentalità di clan; I pashtun hanno un carattere forte e autoritario. Sono generalmente proprietari terrieri, sono tutti musulmani e l’Islam è culturalmente e socialmente significativo nel nostro contesto».
Un territorio, afferma, «in cui siamo un piccolo gregge e siamo riconosciuti come persone di pace. I Beluchi e i Pashtun conoscono i cristiani come persone buone e pacifiche. Siamo una comunità che vive, con semplicità, la gioia di essere qui». Nel Vicariato Apostolico di Quetta la missione dei cristiani si esprime soprattutto attraverso il servizio educativo in 7 scuole rette da congregazioni religiose maschili (come gli Oblati di Maria Immacolata, i Salesiani) e femminili (come i Francescani Missionari di Maria, i Domenicani di Santa Caterina da Siena, le Suore di San Giuseppe di Chambery e altri).
«Possiamo essere testimoni dell’amore di Dio. Molti bambini Baluchi e Pashtun frequentano le nostre scuole. Le famiglie ce li mandano sapendo che nei nostri istituti sono al sicuro, che sono trattati bene, valorizzati e curati, crescono con buoni valori umani per tutti e ricevono un’educazione di qualità» spiega il Vicario Apostolico.
Un’opera educativa che serve anche a mettere in dialogo, tra loro, persone di religioni diverse e soprattutto di fede islamica, per contribuire «a costruire la fraternità», afferma mons. Rehmat, che racconta alcuni dei frutti già raccolti, come gesti di solidarietà ricevuti da credenti e leader musulmani, dopo il recente episodio di violenza contro i cristiani a Jaranwala. Conclude il Vicario: «A Quetta possiamo dire che vivere in comunione e in pace non significhi solo vivere in assenza di conflitti, ma anche vivere ogni giorno nella speranza e nella gioia che vengono da Cristo Gesù. Gesù è la pace. Dio ci dà la pace e noi la portiamo ai nostri vicini». E chiosa convinto: «Così siamo riconosciuti perché siamo discepoli, risorti con Cristo Gesù, testimoni del suo amore» (Fonte foto: YouTube/Facebook)
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