Una spinta indietro verso il conservatorismo. Così Tracy McEwan ha definito, non senza disappunto, l’esito dell’indagine condotta all’International Survey of Catholic Women, in cui emerge in modo netto il volto tradizionale di una Chiesa femminile giovane e vivace. Teologa e sociologa della religione e di genere presso l’Università di Newcastle, la McEwan è tra i curatori dell’indagine che è stata condotta su un campione di 1.769 donne nel periodo di marzo aprile 2022 in risposta all’ invito a presentare proposte al Sinodo dei Vescovi 2021-2024. Al centro domande sia aperte che chiuse sulle preoccupazioni, le intuizioni e le esperienze di donne cattoliche in merito alla riforma della Chiesa e i grandi temi di attualità come le questioni ambientali, la pandemia da Covid, il gender.
Nelle risposte aperte è emerso un ampio gruppo di intervistate, per lo più adulte o anche anziane secondo cui in questo momento la priorità della Chiesa è la riforma, lo stesso gruppo vede positivamente la piena inclusione delle “persone Lgbtiqa+” nelle attività della Chiesa, ritiene prioritarie le azioni per la tutela del clima e la lotta al cambiamento climatico, chiede di consentire ai divorziati civilmente di sposarsi nuovamente in Chiesa. Istanza queste che vedono contrarie le ragazza più giovani, ossia la minoranza delle intervistate.
Nella sintesi, di 84 pagine, resa pubblica lo scorso 12 settembre, emerge che questo gruppo di giovani cattoliche australiane «rifiuta qualsiasi processo di modernizzazione della Chiesa e come riforma auspica un ritorno alla tradizione, un’attenzione all’ortodossia, all’importanza dell’Adorazione e anche alla messa celebrata in Vetus Ordo». Un trend decisamente in controtendenza rispetto al processo di secolarizzazione che la fa da padrone. I ricercatori hanno inoltre affermato che la maggioranza degli intervistati sostiene l’ordinazione sacerdotale delle donne – dichiarata sacramentalmente impossibile da Papa Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis del 1994 – ma anche in questo caso a non essere d’accordo sono le più giovani, che ritengono altresì importante valorizzare l’identità cattolica. Emerge infine che i gruppi di età più bassa sono decisamente meno propensi all’uso del “linguaggio inclusivo di genere” nella liturgia e nei documenti ufficiali della Chiesa.
I curatori della ricerca illustrano questi dati senza nascondere il disappunto legato alle aspettative della Chiesa australiana nei confronti delle nuove generazioni e provano a rintracciare le cause della rottura tra vecchie e nuove generazioni. «Un’ipotesi è che, la maggior parte delle giovani donne che hanno completato il sondaggio faceva parte di un sottogruppo altamente impegnato, un’altra possibilità», hanno scritto, è che «i livelli di conservatorismo sono legati a una combinazione di effetti generazionali e legati alle fasi della vita, ad esempio, il Vaticano II e l’Humanae Vitae avrebbero potuto avere un impatto sulle generazioni più anziane di donne cattoliche», mentre le donne più giovani «potrebbero essere state influenzate da eventi come la Giornata Mondiale della Gioventù». Sempre i ricercatori hanno ipotizzato che «man mano che le donne cattoliche percorrono il corso della vita, acquisiscono un’esperienza vissuta delle complessità della pratica della fede, della dottrina e della vita più in generale».
Come a dire, «i giovani sono così radicali perché non hanno ancora sperimentato la vita». La realtà è che l’esito di questo sondaggio sorprende e interroga, poiché vede le giovani donne dire: «Come Chiesa abbiamo dimenticato gli elementi soprannaturali della nostra fede. Non siamo una Chiesa per la giustizia sociale o il cambiamento climatico, invece dobbiamo attenerci alla verità, non importa quanto sia impopolare». (Fonte foto: Pexels.com)
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