Se dovessimo raccontarla come probabilmente si leggerà sui libri di storia, dovremmo dire che Giorgio Napolitano – morto oggi all’età di 98 anni – è stato una figura di spicco nella storia politica italiana del XX e XXI secolo. Nato nel 1925 a Napoli, da sempre segnato da una forte somiglianza estetica con Re Umberto II di Savoia (tanto che sono perfino fiorite leggende metropolitane sul suo esserne presunto figlio) ha in effetti indubbiamente svolto un ruolo di primo piano nella politica e nelle istituzioni del Paese per decenni, diventando il decimo Presidente della Repubblica Italiana.
Non solo. L’intera sua carriera politica ha visto il susseguirsi di una serie di incarichi chiave. È stato eletto deputato nel 1953 e è stato ininterrottamente in Parlamento fino al 1996, quando è diventato membro del Senato. Durante tutti quegli anni – nei quali si è ritagliato il potente ruolo di “Ministro degli esteri” di Botteghe Oscure – ha occupato diverse posizioni di responsabilità, inclusa la presidenza della Commissione Bilancio. La sua abilità nella gestione delle finanze pubbliche gli ha poi valso un’ottima reputazione come esperto in materia economica.
Il punto è che la storia di questo uomo delle istituzioni è stata anche segnata da passaggi che, pur nel totale rispetto umano verso chi ci ha appena lasciati – e del dolore dei suoi cari –, non si possono proprio condividere. Oltre alla militanza in un partito che si rifaceva ad un’ideologia disumana come quella comunista, si pensi a quando, nel 1956, al congresso del Pci, difese l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss polemizzando con i compagni che volevano prenderne le distanze. Anni dopo farà autocritica parlando di «zelo conformistico», ma c’è da chiedersi se non si potesse fare un’autocritica più significativa.
Un secondo passaggio che proprio non si può condividere è stato il suo grave atteggiamento nel 2009, quando rifiutò di firmare il decreto che avrebbe salvato la vita ad Eluana Englaro. Una mossa che, all’epoca, fu aspramente criticata non solo dal mondo pro life, ma perfino da un altro ex Capo dello Stato, Francesco Cossiga, secondo cui – citiamo Avvenire – «Il capo dello Stato si è rifiutato di emanare un decreto legge non per dare ragione a sindacati ma per dar ragione a degli ‘estrosi’ assassini di stato».
Voltando pagina per stare a temi più legati all’attualità, come quello migratorio, si può inoltre ricordare come Napolitano, pur da uomo di sinistra, seppe prendere posizioni talmente nette e drastiche che i media mainstream oggi non perdonerebbero neppure alla destra; come quando, da Ministro dell’Interno, nell’anno 1997 fu coprotagonista di quello che fu a tutti gli effetti un vero e proprio blocco navale del canale d’Otranto; anche se per smorzare le critiche internazionali e di una parte della stessa maggioranza, non si è mai parlato di blocco navale, bensì di “pattugliamento” volto a convincere i barconi con i migranti a bordo a cambiare rotta..
Sotto il profilo politico, Napolitano è stato sempre stimato come uomo delle istituzioni; anche se più aperto è il discorso su quanto fosse amato anziché temuto. Almeno questo traspare, almeno, da un articolo de Linkiesta, secondo cui Napolitano erano «in molti a considerarlo, da sempre, un sapiente calcolatore, abile manipolatore e, soprattutto, spietato sia con gli avversari politici che con i compagni di partito». Parole troppo serve, dirà qualcuno, soprattutto se riprese in queste ore di lutto nazionale; eppure sono verosimilmente utili ad inquadrare a 360 gradi, al di fuori di ricordi ed esaltazioni, una figura che, repetita iuvant, ha fatto certo la storia di questo Paese.
Ma proprio per questo – oltre a pregare per lui – è opportuno farsi e conservare un ricordo sì nitido, ma non partigiano di questo uomo delle istituzioni dall’indubbia abilità e dal grande potere – che però nel servire il suo Paese non ha certo sempre privilegiato equilibrio e attenzione a quei valori antropologici che pure dell’Italia sono il Dna. Ciò non toglie, attenzione, che Napolitano sia stato protagonista di eventi significativi per i rapporti tra Stato e Chiesa, come quando, nel 2008, accolse al Quirinale Sua Santità Benedetto XVI.
Il papa tedesco fu salutato con commozione sempre da Napolitano anche quando, nel 2013, si dimise e i due si salutarono al secondo piano del Palazzo Apostolico vaticano. «Signor Presidente, ha trovato il tempo di venire a salutarmi», aveva esordito il Papa vedendo il Capo dello Stato sulla soglia della porta. «No», aveva replicato Napolitano, «è lei che mi ha dato l’opportunità di rivederla». Parole che – pur nelle distanze valoriali – esprimevano una sincera stima. Segno di un rispetto tra personalità d’altri tempi, ancorché espressioni di mondi diversi e, da oggi, consegnati alla storia (Foto: Imagoeconomica).
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