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22.12.2024

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L’infernale “Paradiso svedese”
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16 Settembre 2023

L’infernale “Paradiso svedese”

C’è chi ha “il ritmo nel sangue”, chi “è un genio in matematica” e chi è “pizza e mandolino”. Per gli studiosi sociali Simpson e Yinger «se il pregiudizio esiste è perché qualcuno ci guadagna». L’idolatria che i paesi dell’Europa meridionale, Italia in primis, nutrono per la Svezia, patria del Nobel e del welfare, contribuisce probabilmente ad alimentare «posizioni di subalternità culturale e politica» (come da tesi dei due sociologi).

IL DIETROFRONT SUI TABLET A SCUOLA

In questi giorni ha tenuto banco la nuova politica scolastica svedese, che ha eliminato i tablet dalla scuola dell’infanzia. Al posto dei dispositivi elettronici, gli studenti sui banchi hanno trovato i sussidiari. La decisione del nuovo ministro dell’Istruzione, Carlotta Edholm, è avvenuta alla luce dei dati Pirls (Progress in International Reading Literacy Study) che hanno mostrato un crollo della capacità di lettura degli allievi. Spiega il pedagogista Daniele Novara su Avvenire: «La goccia che ha portato a questa inversione di marcia arriva dallo studio internazionale PIRLS del 2021 che ha mostrato come la capacità di lettura degli studenti svedesi si fosse abbassata, in 11 anni, di 11 punti. E di come un fattore chiave di questo peggioramento fosse l’eccessivo utilizzo di dispositivi digitali». Di fronte all’uso della tecnologia nelle scuole svedesi (che la pedagogista Donatella Solda ha definito «estremo»), Novara aggiunge parole forti: «Questa decisione del Paese scandinavo getta un sasso nell’acqua stagnante legata alla convinzione che il miglioramento della scuola passi necessariamente dall’aumento della digitalizzazione».

LA NOTIZIA È IL RIPENSAMENTO DI CHI “NON PUÒ SBAGLIARE”

Ma il dibattito risulta interessante non solo per il suo risultato ultimo (il fattore umano risulta ancora nettamente prevalente, e più tecnologia non significa necessariamente una scuola migliore) ma anche per il fatto che esso sia scaturito dalla retromarcia di un paese che per molti incarna ancora un indiscusso paradiso morale. Il fatto che Guido Ceronetti, scrittore, poeta, drammaturgo, scrivesse che «nell’insegnamento elementare la comunicazione elettronica deve essere responsabilmente bandita», o che Paola Mastrocola in un libro significativamente intitolato Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza (La nave di Teseo, 2021) arricchisse quello ed altri concetti con la sua notoria esperienza di insegnante, non conta. Sono italiani, non svedesi. Come non svedesi sono anche Steve Jobs (che proibiva ai suoi figli piccoli l’uso di iPad, iPod e iPhone) o il fondatore di Twitter Evan Williams (che iniziava i figli ai libri tenendoli lontani da smartphone e tablet). Il pregiudizio positivo verso la Svezia, presentabilissimo “Sol dell’Avvenire”, è duro a morire.

A QUALSIASI COSTO “PORTE APERTE”

Altro must del paese scandinavo è quello delle porte aperte ai migranti, e per converso dell’ostracismo verso chi si azzarda a porre questioni. Risalgono al lontano 1997 le accuse di razzismo e fascismo rivolte all’antropologa Kajsa Ekholm-Friedman dai media svedesi (e da alcuni suoi colleghi). La colpa? Avere discusso pubblicamente il fallimento delle politiche d’integrazione di un paese che ha fatto del multiculturalismo una questione di vita o di morte. L’antropologa Ekholm-Friedman ha sostenuto le sue tesi dopo anni e anni di ricerca, studiando a fondo ed entrando di persona nelle pericolose enclave etniche delle periferie svedesi. L’argomentare i suoi studi con dati empirici e fattuali è stato additato dai media come “atteggiamento razzista”, con l’aggravante che una simile condotta avrebbe portato acqua al mulino della destra reazionaria. Fa nulla poi che, negli anni, un certo “purismo dell’accoglienza” abbia messo in pericolo l’intera nazione.

Giorni fa, per la seconda volta in pochi mesi, l’attivista Salwan Momika ha bruciato il Corano in piazza scatenando l’ira di centinaia di migliaia di islamici residenti in Svezia. Eppure, con una contorsione da “equilibristi della democrazia”, le autorità hanno permesso il rogo: «Il diritto costituzionale ha la precedenza sui divieti temporanei di incendio», così la portavoce della polizia. Tenere insieme tutto è difficile per tutti, anche per l’inappuntabile “modello svedese”, per cui provocazioni antireligiose come quelle descritte (a loro volta figlie di una presenza musulmana in aumento esponenziale) non solo hanno portato ad uno stallo i negoziati di adesione del paese scandinavo alla Nato, ma in tutto il mondo arabo hanno scatenato proteste tali da aumentare la minaccia terroristica contro la Svezia.

VIOLENZE CENSURATE

Se poi nell’ultimo decennio i casi di violenza nel paese sono aumentati vorticosamente (la Svezia ha uno dei più alti tassi di stupro in Europa, l’85% dei quali commesso da immigrati), l’ostinata tendenza dei media svedesi è quella votata alla più sfacciata autocensura. Caterina Giojelli su Tempi riporta le inequivocabili parole dello scrittore svedese Jacob Sundberg: «Per noi è molto difficile accettare l’enorme ondata di violenza armata. Così difficile, infatti, che ampie porzioni della cronaca svedese cercano disperatamente di minimizzarla. Su tutti i media vedrete tentativi di relativizzare l’aumento delle sparatorie mortali con riferimento, ad esempio, al numero di persone uccise ogni anno in incidenti stradali…».

«AIUTIAMOCI A LIBERARCI L’UNO DALL’ALTRO» (GENESI DEL WELFARE)

Ensam är stark (“da soli si è più forti”) è un’espressione svedese che rende bene una certa ossessione per l’autosufficienza. L’indipendenza come mito, per Erik Gandini, regista de La teoria svedese dell’amore, «è una tendenza che vede nelle relazioni qualcosa di limitante, quasi fossero una costrizione a priori, anziché essere le precondizioni del benessere e della libertà». L’idea (di chiaro stampo progressista) era quella di «rompere il ruolo della donna come casalinga dipendente economicamente dal marito». Nessuno deve dipendere da nessuno. La conseguenza è che oggi in Svezia non solo la metà della popolazione vive da sola, ma uno su quattro muore da sola: il 25% degli anziani muoiono senza avere vicino a sé né figli né nipoti. Allora l’osannato welfare? Gandini, da 35 anni residente in Svezia, offre una lettura scioccante della sua genesi: «È come se ci si fosse detti in coro: “aiutiamoci a liberarci l’uno dall’altro”».

RECORD DI ANTIDEPRESSIVI

Ma la Svezia è anche il Paese di Greta Thumberg, altro imprescindibile pezzo del mosaico. Tanto che secondo uno studio dell’Università di Lund riportato da Giulio Meotti «avere figli è la cosa più distruttiva che possiamo fare per l’ambiente» (mentre averne uno in meno significherebbe risparmiare «in media 58,6 tonnellate di emissioni di CO2» con una riduzione di emissioni paragonabile a «684 adolescenti che fanno un riciclaggio completo per il resto della loro vita»). Se a tutto ciò si aggiunge che la Svezia è il terzo Paese in Europa per consumo di antidepressivi (il primo è la vicina Islanda) la domanda diventa banale: è ancora il caso di subire il fascino di un Paese vittima della sua Utopia?

(Foto Pexels)

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