È morta la notte del 2 agosto scorso, a 86 anni madre Elvira Petrozzi, che nel 1983 aveva fondato la Comunità Cenacolo di Saluzzo, la prima di una serie di realtà che sono poi germogliate in varie parti dell’Italia e dell’Europa, non ultima, Medjugorje.
Suor Elvira ha trasformato le sue comunità, in un luogo di accoglienza e di possibilità di rinascita, per tutti quei giovani persi nell’incubo della droga e immersi nella solitudine.
All’inizio ristrutturò una piccola casetta, a Saluzzo, grazie alla collaborazione dei ragazzi accolti, ma le richieste erano infinite. Così le Comunità si moltiplicarono oltre che in Italia, anche in Europa.
Attualmente ci sono più di 70 case in tutto il mondo, abitate da giovani volontari, missionari laici, famiglie, sacerdoti, consacrate, che condividono la loro vita con le persone ospitate, alternando momenti di preghiera e momenti di lavoro.
All’interno della comunità si cerca ricreare il calore familiare, che molto spesso è l’elemento che più è mancato alle persone accolte. Della figura di suor Elvira abbiamo parlato con la giornalista Costanza Miriano, di cui ha conservato un indimenticabile ricordo.
Puoi raccontarci il tuo primo incontro con suor Elvira?
«Mi trovavo a Perugia, nella mia parrocchia di Santa Lucia, siamo negli anni ‘80 e don Ignazio che ne era il parroco e attualmente è ancora lì, aveva incontrato suor Elvira a Medjugorje ed era rimasto molto colpito dalla sua figura, quindi l’aveva invitata da noi, in parrocchia. Suor Elvira tenne un incontro riservato per noi ragazze. Questa cosa mi colpì tantissimo: si capiva subito che era una persona con cui il Signore aveva fatto sul serio. Lei si è fidata oltre ogni logica umana mettendo su una comunità, da un rudere, con la sola forza della fiducia nella preghiera. Diceva, infatti: “Tutto si risolve in ginocchio”. Per cui, in questo senso per lei, non c’è problema che non si risolva».
Madre Elvira ha sempre ringraziato di aver vissuto la “povertà” della dipendenza dall’alcool di suo padre. “La fragilità di mio padre è stata la mia università, mi ha formato il cuore”. Hai riscontrato questa essenzialità nell’amore, in lei?
«Innanzitutto, dal punto di vista della fede, lei ha capito che solo il Signore ci ricolma dell’amore con cui vogliamo essere amati. Suor Elvira, infatti, ha dovuto fare a meno di una famiglia armoniosa e serena ma Dio ha colmato, in Lei, questa sete di amore. Poi ha visto da Lui come si affrontano le difficoltà nella comunità, perché è stato vivendo la dipendenza del padre che ha capito come si fronteggiano certe situazioni. Infatti lei diceva che nella dipendenza non bisogna avere pietà ma ad esempio, sosteneva, il drogato per poter uscire dal male della droga ha bisogno che qualcuno abbia il coraggio di buttarlo fuori di casa».
Ti ha segnato come figura di donna?
«Sì, avevo 16 anni ed era la prima volta che mi veniva presentato un modello di donna cristiana che non sceglie la castità come rinuncia, ma una donna forte che con la sua purezza riesce a salvare l’uomo. Diceva alle ragazze di non buttarsi mai via: “E se anche vi buttate via non raccontatelo a nessuno, ma solo al Signore e non al prossimo ragazzo che incontrerete, perché il Signore è il vostro sposo, il vostro psicologo e il vostro consigliere e lui vi troverà un marito”. La sua figura mi ha segnato davvero tutta la vita».
Fonte foto: facebook
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