Dov’eravamo rimasti? Ah sì, giusto: all’audio di Marcello Neroni, uno accusato di essere del giro della Banda della Magliana e a detta del quale Giovanni Paolo II le ragazzine «pure insieme se le portava a letto, se le portava, non so dove se le portava, all’interno del Vaticano». La registrazione di cotanta “rivelazione” da parte di Neroni è in realtà stagionata se non ammuffita (risale al giugno 2009), eppure è tornata in auge nei mesi scorsi, anche perché è stata fatta riascoltare in televisione, su La7. Tutto ciò non è andato giù, tra i tanti, a papa Francesco, intervenuto personalmente sull’argomento due volte: il 16 aprile – subito dopo cioè la messa in onda dell’audio in tv – quando, dopo la recita del Regina Caeli, ha parlato di «illazioni offensive e infondate» e una dozzina di giorni dopo quando, volando a Budapest, aveva di nuovo liquidato le voci sul papa polacco come «una cretinata che hanno fatto». Anche il cardinale Stanislao Dziwisz, che del pontefice polacco fu storico segretario, ha parlato di «accuse farneticanti».
UN DATO STORICO INELUDIBILE
Ma anche al di là di queste reazioni, peraltro comprensibilmente indignate, a qualificare quelle sul Papa che le ragazzine «pure insieme se le portava a letto» come delle assurde calunnie – lo abbiamo fatto notare sul numero di giugno della rivista (qui per abbonarsi) – c’è pure un dato storico ineludibile: papa Wojtyla era, specie nei suoi primi anni di pontificato, un uomo spiatissimo. Aveva infatti alle calcagna nientemeno che il micidiale Kgb, arrivato ad infiltrare degli agenti in Vaticano, perfino nelle vesti di religiosi, pur di tenerlo d’occhio. Già il giorno dopo l’elezione di Wojtyla, per fare un esempio, il capo della missione del Kgb a Varsavia, Vadim Pavlov, inviò a Mosca un report su di lui da parte dell’Sb, l’equivalente polacco del Kgb.
Non è finita. Una personalità che in Vaticano è stata importante, come monsignor Francesco Salerno, ha reso noto come gli 007 fossero arrivati a spiare il pontefice polacco direttamente all’interno della sua camera da letto. Proprio così. La conferma l’ha data direttamente lui, monsignor Salerno, allorquando ebbe a raccontare, appunto, del ritrovamento – subito dopo l’attentato del 1981, quindi due anni prima della scomparsa di Emanuela Orlandi – di una microspia: «Seppi da Jan Pawloski, genero di una dottoressa legatissima al Pontefice, che aveva scoperto una cosa importantissima. Una microspia in una vecchia radio nella camera da letto del Papa».
Con simili e acclarate premesse, appare dunque semplicemente impossibile che il pontefice avesse abitudini censurabili: da Mosca (e non solo) lo marcavano stretto, praticamente a uomo, e non ci avrebbero pensato mezzo istante ad inchiodarlo dinanzi al mondo, tanto più se davvero fosse stato una sorta di maniaco sessuale. Una tesi, quest’ultima, quindi a dir poco vergognosa e che fa a pugni con la realtà storica, prima ancora che con la decenza. Tuttavia, siccome sparare veleno sulla Chiesa e sul Vaticano, si sa, editorialmente paga sempre – lo insegnano fior di bestseller, da Il nome della rosa a Il codice da Vinci –, ecco servito altro fango su Wojtyla.
«IL PAPA CI AVEVA PROVATO»
Stiamo parlando del libro, da poco uscito, La ragazza che sapeva troppo (Solferino) del giornalista Ferruccio Pinotti e del magistrato Giancarlo Capaldo. In quel testo, è contenuta anche una intervista ad Alessandro Ambrosini – lo stesso giornalista che nel 2009 raccolse le “rivelazioni” di Neroni – il quale sostiene che Pietro Orlandi, ascoltato quel nastro nel 2010-2011, gli avrebbe (condizionale più che d’obbligo) poi confidato che Papa Giovanni Paolo II avrebbe fatto delle avances nei confronti della sorella. Ma lasciamo la parola direttamente a Pinotti, che fa le domande, e ad Ambrosini che risponde. Siamo a pagina 258 del libro, quando viene chiesto ad Ambrosini della reazione di Pietro Orlandi all’ascolto del suo nastro.
«Quale era stata la reazione di Pietro?
“Era rimasto sconvolto. La cosa coincideva mostruosamente con quello che poi venne fuori dall’amica di Emanuela nella testimonianza resta a Vatican Girl per Netflix…È stato atroce, per Pietro, sentir discorrere di abusi sessuali da parte di una figura che “doveva” diventare santa”.
Quell’amica che in Vatican Girl parlò della confidenza di Emanuela sulle molestie sessuali?
“Esatto, esatto. Pietro – in quel momento me lo disse testuale, tant’è che io rimasi di sasso – mi parlò del verbale che aveva reso questa amica di sua sorella, in cui diceva che Emanuela le aveva detto, letteralmente: “Il Papa ci ha provato”. Perciò lui rimase molto colpito da questa dichiarazione di Neroni”».
Fine della citazione. Ora, ammesso che Ambrosini ricordi bene ciò che sostiene, non è affatto vero che quanto dice Neroni coincida «mostruosamente» con le dichiarazioni dell’«amica» contattata da Netflix. Tanto per cominciare perché le dinamiche sono diverse: o Wojtyla «si portava a letto» Emanuela Orlandi oppure ci aveva provato – con esito negativo e grande turbamento della giovane – ai Giardini Vaticani. Pur gravissimi entrambi, sono due scenari ben diversi. Ma soprattutto, c’è da dire che l’«amica» di Emanuela Orlandi che avrebbe ricevuto da quest’ultima delle confidenze sulle molestie non risulta abbia mai parlato di Wojtyla. Non solo: l’«amica» in questione, in realtà, non ha mai parlato neppure di un prelato; al massimo lo ha fatto intendere. Nel documentario Vatican Girl (2022), infatti – precisamente nel quarto e ultimo episodio -, ecco le esatte parole (rese tutte in incognito, «perché mi sento più tranquilla») dell’«amica» della quindicenne scomparsa nel 1983:
«Con Emanuela ci siamo conosciute perché andavamo a scuola insieme, abbiamo avuto subito una simpatia l’una per l’altra […] oltre che a scuola ci frequentavamo al di fuori della scuola […] L’ultima volta che io ed Emanuela ci siamo viste è stato un giorno che Emanuela mi chiamò – la settimana prima che succedesse questa cosa [La sua scomparsa, ndr] – dice: “Senti, ci dobbiamo vedere perché ho un segreto da confessarti, da dirti, una cosa segreta da dirti”. Ci siamo viste, ehm, al di fuori del Vaticano ma sotto casa sua. Io lì per lì ho detto: “C’è qualche ragazzetto?”. Però ho capito subito che non era il segreto bello che io m’ero immaginata, dalla sua…da come stava lei, dal suo essere rigida..l’aver paura, anche vergogna forse. E poi Emanuela mi ha detto che durante uno dei suoi giri nei Giardini Vaticani una persona, una persona molto vicina al Papa, l’aveva infastidita…infastidita, non c’è una parola adesso per definire bene questa cosa. A me, ti giuro, è bastato solo guardarla».
COSA DICE DAVVERO L’«AMICA»
A quel punto, l’intervistatrice di Netflix chiede all’«amica» misteriosa se Emanuela stesse parlando di attenzioni sessuali. Risposta dell’«amica»: «Assolutamente sì». Ora, come si vede questa testimonianza non solo non riguarda il Papa – finora è stata infatti presentata come la prova d’un coinvolgimento di un alto prelato (non a caso Netflix, mentre presenta il racconto, mostra immagini dell’arcivescovo Paul Marcinkus, all’epoca presidente dello IOR) -, ma neppure un religioso viene nominato. Si parla solo di «una persona molto vicina al Papa», cosa che non necessariamente riguarda un sacerdote, dato che solo in Vaticano – senza poi considerare quanti lo frequentano per motivi di lavoro – vivono e anche nel 1983 vivevano decine e decine di laici; una settantina, secondo quanto scritto in Come svanì Emanuela (Nutrimenti, 2020), il suo libro sul caso Orlandi, da Roberto Fagiolo.
Eppure, tra le pagine di La ragazza che sapeva troppo, il molestatore dei Giardini Vaticani diventa…Wojtyla stesso! Il fatto è doppiamente curioso – come già si diceva – anche perché, dispiace dare una brutta notizia agli estimatori di Netflix convinti di aver ascoltato chissà quale esclusiva, l’«amica» di Emanuela Orlandi quella stessa testimonianza l’aveva già resa qualche anno prima. A chi? Al giornalista Tommaso Nelli, il quale – ritenendola giustamente di interesse – l’aveva inserita nel suo libro Atto di dolore – Il caso di Emanuela Orlandi è una partita ancora aperta (Fabiano&Castaldo, 2016). Ecco il dialogo tra Nelli e l’«amica» misteriosa, avvenuto nel settembre 2014, otto anni prima di Neflix. Siamo a pagina 320 di Atto di dolore:
Tommaso Nelli: «E disse che qualcuno in Vaticano, molto vicino al Papa, le aveva dato fastidio…»
Amica (onomatopeica di approvazione)
TN: «Ma che tipo di fastidio?»
Amica: «A livello sessuale magari aveva avuto qualche approccio… lei dice: “No, io non ce vado più su ai Giardini, evito” Quindi qualcuno che stava in Vaticano, però non so se potrebbe essere riconducibile».
TN: «Potrebbe essere uno molto riconducibile […] era uno vicino al Papa?»
Amica: «Sì, mo’ non so se voleva di’ come grado o cosa, me disse: “È una persona vicina al Papa”».
TN: «E quindi non disse molto più anziano, vecchio?»
Amica: «No, no all’ultimo non mi disse più niente […] secondo me lei non ha mai detto niente nemmeno a casa, era impensabile che una persona di Chiesa potesse fare una cosa del genere».
E LE PROVE?
Ora, è vero che lo stesso Tommaso Nelli ha scritto che le rivelazioni dell’«amica» misteriosa riguarderebbero un «alto ecclesiastico»; ed è anche vero che l’«amica» – lo abbiamo appena letto – aggiunge di suo che poteva trattarsi di «una persona di Chiesa», ma Emanuela – se dobbiamo credere a questa testimonianza resa sia a Nelli sia a Netflix – non parlò mai di un ecclesiastico, ma solo di qualcuno che lei, quindicenne, percepiva essere «uno vicino al Papa». Stop. C’è inoltre pure da dire che appare da dimostrare che tale testimonianza sia preziosa per ricostruire la fine di Emanuela Orlandi.
Diversamente da Netflix, Nelli infatti riporta che i fatti ai Giardini Vaticani sarebbero avvenuti non la settimana prima della scomparsa, ma addirittura ad inizio 1983. E un giornalista (tutt’altro che baciapile, avendo lavorato per Repubblica e L’Espresso) che da decenni segue il caso come Pino Nicotri guarda con grande prudenza a tale testimonianza, riemersa dalle nebbie dopo decenni. Non solo: al Timone risulta – e lo abbiamo scritto e detto, in esclusiva assoluta e mai smentiti – che la magistratura vaticana sia al lavoro anche su profili di laici che avevano motivo di frequentare i Giardini Vaticani in quel periodo e dalla condotta, diciamo, abbastanza ambigua.
ACQUA DA TUTTE LE PARTI
Come che sia, il fatto è che Wojtyla non è mai stato nominato come responsabile dagli abusi dall’«amica» di Emanuela Orlandi, che pure per ben due volte, giova ribadirlo, ha potuto parlare liberamente e ben protetta dall’anonimato. Ed appare anche piuttosto difficile – altra cosa da sottolineare – che esista «un verbale» relativo a questa testimonianza; il perché lo scrive ancora il puntuale Nelli, allorquando segnala come il nome di questa amica sia del tutto «assente anche dall’elenco di amici e persone appartenenti alle sue aree sociali che la questura di Roma ha trasmesso alla Procura di Roma il 28 ottobre 2008» (p.322).
Ma allora com’è possibile che nel libro La ragazza che sapeva troppo si possa leggere, nelle parole di Ambrosini, che Pietro gli avrebbe raccontato – condizionale quanto mai d’obbligo – che «Il Papa ci aveva provato» con la sorella Emanuela? Non sarà che Ambrosini ricorda male? E perché Pinotti, che pure conosce il libro di Nelli, più volte ripreso, non gli ha fatto notare l’enormità ascoltata finendo, anzi, col rincarare la dose con le domande a proposito della sparate di Neroni («Ma è vero che, ad un certo punto, lui dice che nella Magliana lo chiamavano «il montone», Wojtyla?»)? Sarebbe interessante saperlo. Anche perché per attribuire molestie a chiunque, figurarsi a un Papa santo, servirebbero non chiacchiere da bar ma prove. Prove solidissime. E una testimonianza resa dopo decenni, tanto più se male intesa, è quanto di meno solido e quanto di più calunnioso. (Foto: Bing, Immagini libere per condivisione e uso)
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