Classe 1955, il professor Robert P. George rappresenta una vera e propria istituzione del mondo «conservatore» e cattolico a stelle e strisce. Non a caso è stato definito il «pensatore cristiano conservatore più influente» negli Stati Uniti da David Kirkpatrick del New York Times, ed è docente di giurisprudenza McCormick alla Princeton University. Ora, George – che i lettori del Timone conoscono bene, dato che sulle pagine della nostra rivista (qui per abbonarsi) è stato intervistato lo scorso dicembre – è promotore di una iniziativa molto interessante per il mese di giugno.
Stiamo parlando di Fidelity Month. Di che cosa si tratta? Lo chiarisce lo stesso accademico: «Ci sono un milione di cose che possiamo e dovremmo fare per ripristinare la fede della nostra gente, iniziando a sanare divisioni terribili, ma vorrei che ti unissi a una piccola. Con l’autorità che nessuno mi ha conferito, ho dichiarato giugno “Mese della fedeltà”, un mese dedicato all’importanza della fedeltà a Dio, ai coniugi e alle famiglie, al nostro Paese e alle nostre comunità». Per celebrare questa iniziativa è stato creato anche un logo con una corona di mirto, che «è un simbolo di fedeltà».
Per capire meglio cosa abbia ispirato tale iniziativa, che inizia oggi con webinar ma si annuncia ricca di appuntamenti e incontri, non c’è modo migliore che lasciare nuovamente la parola a lui, Robert P. George il quale, ne ha parlato in una bella intervista rilasciata al National Catholic Register. Premessa: essendo cattolico, come già si diceva, il prof di Princeton sa benissimo come il mese di giugno sia quello «dedicato al Sacro Cuore di Gesù». «Ma non penso», ha subito aggiunto, «che designando giugno come Mese della Fedeltà, io stia interferendo o sminuendo o facendo qualche affermazione sul Sacro Cuore. I cattolici possono osservare giugno come il mese del Sacro Cuore di Gesù con i loro compagni cattolici e il mese della fedeltà con tutti gli altri».
Sì, perché per questo illustre pensatore il problema della mancanza di fedeltà non riguarda solo l’universo dei credenti, investe tutta la società. A partire dalla famiglia, da ogni famiglia: «La fedeltà è come la carità: inizia in casa. Si trasmette di generazione in generazione, da genitore a figlio, da nonno a nipote. Inizia a tavola quando rendiamo grazie o quando, come cattolici, celebriamo il Rosario di famiglia. La famiglia è la chiesa domestica […] Essere fedeli ai propri figli significa essere mamma o papà, essere presenti per loro». Di qui un richiamo all’importanza genitoriale di vigilare affinché i figli non siano troppo distratti da dispositivi elettronici (un chiaro riferimento agli smartphone, la cui tirannia è stata esplorata sul numero di novembre della rivista) o da altro.
A seguire, Robert P. George non manca di spendere parole di amarezza per lo stato attuale dell’universo cattolico: «Parlando specificatamente da cattolico, mi rattrista che, a causa dei fallimenti di fedeltà nel sacerdozio, e anche tra i laici, la Chiesa appaia ora fuori dal campo di battaglia proprio quando c’è maggiore bisogno culturale della sua testimonianza». Di qui un auspicio affinché la Chiesa torni a ricoprire quel naturale «il ruolo guida che potrebbe svolgere nel rinnovamento e nella rivitalizzazione di una cultura della fedeltà». Perché ciò avvenga, ci permettiamo di aggiungere, c’è però anche bisogno di un impegno concreto da parte di ogni singolo cattolico, sia nella testimonianza sia nella preghiera, due pilastri della vita di ognuno senza i quali un vero cammino di fede rischia di essere, restando in tema, poco fedele al Vangelo (Fonte foto: R.P.G.).
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