Per gentile concessione di “Doctor Humanitatis” (qui il canale YouTube) – sezione di Verona della Società Internazionale Tommaso D’Aquino -, riportiamo di seguito l’intervento integrale che S.E.R. il Cardinale Angelo Bagnasco ha tenuto all’incontro tenutosi lo scorso 12 maggio, alle ore 20.45, nella Basilica di santa Teresa del Bambino Gesù di Verona, in occasione della tradizionale conferenza conclusiva delle attività sociali per il 2022/23 di Doctor Humanitatis, appunto. Doctor Humanitatis opera a Verona da 8 anni, organizza delle attività partendo principalmente dai contenuti filosofici, teologici e antropologici della dottrina di san Tommaso d’Aquino, ma aperti anche ad altri pensatori di alto livello speculativo e dottrinale utili alla vita spirituale del credente cristiano. Il titolo dell’intervento del Cardinale – che già aveva tenuto una conferenza per Doctor Humanitatis nel 2021, in occasione della quale aveva ricevuto la qualifica di Socio onorario ad vitam – è “La Rivelazione di Dio in Gesù Cristo”.
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Saluto i presenti e gli Organizzatori di questo incontro su un tema che in genere non pare scontato né sembra destare particolare interesse. Il clima culturale che si respira nel nostro Occidente, infatti, se da una parte esalta le differenze e asserisce la necessità di rispettarle e di valorizzarle, di fatto sembra voler omologare tutto ciò che non corrisponde al disegno globalista. Questa visione cerca di uniformare anche la libertà di parola, si dilata in ogni campo tentando di contaminare anche i valori morali, le filosofie di vita, le fedi religiose. Anche lo specifico della Religione cristiana e del Cattolicesimo.
In questa visione sarebbe assente il dialogo di cui oggi molto si parla e si afferma di praticare. Bisogna però ricordare – come scrive E. Mounier – che per dialogare bisogna essere almeno in due: ognuno deve voler ascoltare sinceramente ed avere qualcosa di vero e di sensato da dire. Ma in una società dove le differenze sono demonizzate a priori come sarà possibile dialogare? Lo slogan, secondo cui nessuno ha la verità in tasca, esprime non la disponibilità a cercare, ma piuttosto l’indisponibilità a trovare, mantenendo però l’immagine di un continuo e tormentato impegno. Per cercare la verità ci vuole coraggio, perché essa giudica la vita, e coraggio di dirla non per affermare se stessi ma per condividerla.
Anche noi cristiani non dobbiamo dare per scontato di avere sempre lucido ciò che Cristo ha rivelato, poiché respiriamo l’aria della storia, viviamo dentro al mondo anche se non dobbiamo essere del mondo. La funzione di sale e lievito è chiara e netta, ma in pratica non è sempre lineare in mezzo a opinioni, tendenze, sentimenti, emotività … che assediano strategicamente il nostro modo di pensare, di sentire e di credere.
La Rivelazione di Cristo segna nella storia umana una novità assoluta, una differenza unica. Dimenticare questa differenza, o diluirla per essere vicini a tutti, vuol dire perdere il sapore del sale e diventare insignificanti per il mondo, quindi irrilevanti. La Chiesa non deve essere rilevante come potere mondano, ma come presenza religiosa, come lievito, città sul monte, segno dell’amore salvifico di Cristo luce delle genti. Spero che queste considerazioni possano inquadrare il senso del tema e la sua attualità. Prenderò lo spunto dalla Lettera Apostolica “Novo millennio adveniente” di San Giovanni Paolo II (1994), nel tentativo di una rilettura ampliata alla luce delle circostanze odierne.
Dire che Dio è creatore del mondo e dell’uomo, può apparire non qualificante, poiché anche altre Religioni lo affermano.
A volte, parlando della Rivelazione cristiana, si sente dire che il cuore di tutto è l’a,more. E’ vero ma, senza alcune precisazioni, si rischia di ridurre il Cristianesimo a un codice di comportamento, ad un umanitarismo generico il fondamento del quale sarebbe l’umano non il soprannaturale.
Già nel secolo scorso una grande convertita francese, Madeleine Delbrel, paventava la “naturalizzazione” del Vangelo. Vedeva nel futuro il rischio di eliminare o di mettere in ombra la linfa evangelica, la dimensione soprannaturale, il nerbo divino. Infatti,il cuore di tutto non è l’uomo che ama, ma Dio che ama: “Dio è amore”. E’ questa la chiave di lettura del suo agire: Dio opera amando, perché questo è ciò che è, il suo essere. La natura agisce secondo ciò che è, e l’uomo dovrebbe agire secondo la sua natura, anche se non è sempre così.
La creazione, dunque, si spiega come un atto d’amore di Dio: Egli non crea per affermare se stesso, per essere obbedito, riconosciuto e glorificato. Se così fosse non sarebbe se stesso. Egli è amore e l’amore è diffusivo, tende a uscire da sé, a comunicarsi, a parteciparsi. Ecco l’agire creante di Dio. Egli crea l’universo dove tutto riflette la sua bellezza, e, in ultimo, crea l’essere umano a immagine e somiglianza sua. Lo crea per amore e per amare: senza questa esperienza, l’uomo non sa chi è.
Dato che Dio è amore, crea l’uomo capace di amare e gli chiede amore: ma non c’è amore senza libertà e quindi lo fa libero. Qui sta il rischio che solo Dio amante poteva fare suo: in a una architettura d’amore non poteva essere diversamente. Tutto doveva parlare di Amore, quello di Dio creatore, al quale la creatura umana era chiamata a rispondere nella libertà. Il male non esiste nel disegno divino: entra nella storia dalla porta della libertà umana: esso è contro Dio ma non è Dio; non legittima una visione manichea del mondo, è solo odio dell’amore, è tenebra che non sopporta la luce.
Nell’immenso giardino dell’universo, accade la rottura: la libertà è usata male e il male irrompe nel cosmo: l’uomo non si fida di Dio e disobbedisce a Lui. La leva che usa il maligno è la vanità umana, la vanagloria: “Sarete come Dio”. Il desiderio di essere sopra agli altri, più importanti, di essere riconosciuti, ammirati e invidiati, poter decidere sulle cose e sugli altri, stabilire il bene e il male, fa guardare al mondo con sospetto. temendo che possa essere oscurata la propria primazia.
La smania di primeggiare allontana dalla realtà e inquina i rapporti, non dà spazio alla fiducia, neppure verso il Creatore. Vivere così è triste: si può carpire qualche soddisfazione passeggera, ma è vivere prigionieri di se stessi. L’antico Adamo non è cacciato via dal paradiso terrestre, ma è lui che esce dalla realtà vera, quella di conversare con Dio. Questa è la realtà pensata e voluta dal Creatore.
Dopo questo punto di rottura, Dio non si arrende, non cancella l’uomo per ricominciare, ma ricomincia da sé stesso! E questo è semplicemente divino! Il disegno infranto dalla vanità umana, non poteva spegnere l’Amore, e Dio ricomincia da sé con l’Incarnazione del Verbo che svela ciò che Dio vuole creando: camminare con la creazione nella gioia. Alla rivelazione antica gli uomini non avevano aperto il cuore, ora – nella pienezza dei tempi – il Figlio eterno, si incarna e così fa vedere il desiderio di Dio e la vera umanità dell’uomo. Da quel momento, l’uomo si trova in Cristo poiché, in un certo senso, solamente Dio riesce ad essere veramente uomo. Per questo possiamo dire che Gesù è il Volto dei volti, Icona di ogni volto.
Rispetto alle atre Religioni, nel Cristianesimo trova approdo non solo la ricerca di Dio da parte dell’uomo, ma anche la ricerca dell’uomo da parte di Dio. Infatti, diversamente da qualunque profeta, è la stessa Parola che viene a parlare agli uomini come ad amici. Cristo, infatti, non parla a nome di Dio, ma è il Verbo eterno. Egli parla di sé e indica come raggiungerlo. Il Verbo Incarnato è dunque la risposta all’invocazione dell’umanità verso il cielo: “Si aprissero i cieli”. E’il compimento dell’anelito di tutte Religioni, e per questo ne è la definitiva foce. “Tutto è compiuto”: la via della vita è manifesta in Lui, ed e segnata per sempre.
In Cristo, Dio non solo parla all’uomo, ma va alla ricerca dell’uomo che si è allontanato dalla casa del Padre e ha perso sé stesso. Il grande divisore lo ha separato dal Creatore, da se stesso, dagli altri, dalla realtà, ma non ha potuto uccidere la nostalgia dell’Assoluto, l’incompiutezza metafisica, l’anelito ad un tutto e per sempre di amore e di vita. Chi poteva ristabilire la strada interrotta? Chi poteva essere vero Pontefice, facitore del ponte infranto tra Dio e l’uomo? Forse l’’umanità? Può il finito raggiungere l’Infinito? Lo può desiderare e invocare, poiché solamente l’Assoluto può raggiungere ciò che è precario, e restaurare il legame d’amore. E così è accaduto: Dio ha ripreso in mano la sua opera ripartendo da sé: “Il Verbo si fece carne”.
L’Infinito è sceso fino al finito e se ne è rivestito, l’ha assunto fino alla fine non solo per salvare l’uomo, ma anche per redimerlo. Si è salvati da un pericolo o da un disastro, si è redenti da una colpa.
Per questo può esserci una salvezza senza redenzione, ma la redenzione è sempre salvezza. Bisogna tornare così all’originario punto di rottura, il peccato: esso è sempre un amore ferito o infranto. Dio non ha bisogno del nostro amore, siamo noi che abbuiamo bisogno di amarLo: è questa la nostra gioia, e Dio ne gioisce.
Il Vangelo dice di Gesù che “avendo amato i suoi, li amò sino alla fine”. Si parla della fine della sua vita terrena, ma anche del culmine possibile dell’amore: il sacrificio della vita per tutti, anche per coloro che lo rifiutano. “Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me”: dal tetto del mondo, dall’alto della croce, Egli dichiara che il ponte fra il cielo e la terra è rinato ed è Lui. Non vi è, dunque, altra strada di salvezza: ogni verità e bontà passeranno attraverso di Lui per arrivare all’Eterno.
La terra continuerà ad essere teatro di scontro con il principe delle tenebre che è stato vinto ma non cancellato: la strada, però, è tracciata per sempre. La salvezza è presente, il male è diffuso ma il bene è contagioso, il male è arrogante ma non è invincibile se la bontà ha il coraggio della grazia.
“Rimanete nel mio amore” (Gv 15)
Ai discepoli tristi per le parole del Maestro che annunciava l’ora del distacco, Egli dice. “Non sia turbato il vostro cuore (…) vado a prepararvi un posto (…) perché dove sono io siate anche voi” (Gv 14). Al desiderio dei discepoli di rimanere con Lui, Gesù risponde con la sovrabbondanza del suo desiderio di rimanere con loro per sempre. L’infinito dichiara di volere stare con il finito, l’Eterno col tempo, l’Assoluto con ciò che è fragile.
Al misterioso viandante che si è accompagnato ai due fuggiaschi da Gerusalemme, giunti a Emmaus, rivolgono l’invito a fermarsi: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno ormai declina”. E Gesù, che aveva fatto come se dovesse andare oltre, senza dire una parola “entrò per rimanere con loro” (Lc 24) , Non voleva imporre la sua presenza poiché l’amore non si impone, ma desiderava infinitamente che il desiderio dei due discepoli diventasse richiesta, quasi invocazione.
L’opera della Redenzione non solo riapre la via interrotta dal peccato, ma va oltre: il Redentore chiede agli uomini di rimanere con Lui, di stare con Lui, di camminare con Lui, di vivere nella sua intimità. Dio ha creato l’uomo per amore e per amare, e si offre come grembo di questa esperienza che identifica, solleva e rigenera. Gesù non solo conferma che Dio è nostro Principio, Meta, Padre, ma invita l’uomo ad entrare in Lui, il sacrario di cui Egli è la porta, il pascolo, l’acqua, il presente e il futuro, la speranza affidabile.
Si apre l’orizzonte della vita di grazia che ci viene incontro nei sacramenti, nella preghiera, nella Parola di Dio, nella comunità cristiana, la Chiesa. Ma Egli procede ancora, tanto che san Paolo dichiara: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” ( Gal 2). E’ Cristo stesso che, se ci arrendiamo a lui, opera nel mondo attraverso di noi, e continua ad amare, a servire e a salvare il mondo per aprirlo alla gioia di Dio.
Il disegno del Creatore è restituito a se stesso, è ricominciato e rivelato nella sua pienezza in Gesù, è diventato visibile all’umanità e all’universo intero: Dio si è coinvolto fino alla misura suprema della croce. Il peccato continuerà, ma non potrà più gettare nella disperazione poiché la speranza si è piantata sulla terra ed invita ad accostarsi al “trono della grazia”. Tutto è primizia e pegno: la carne mortale di Gesù è trasfigurata e vive nel cuore della Trinità, in un abbraccio eterno di fiducia e di abbandono. Un abbraccio di assoluta verità: “Tu sei mio figlio (…) Tu Padre mio!”.
La gioia cristiana è questa: è la gioia stessa di Dio nel vedere la creazione ricuperata, e il suo disegno di amore realizzato nel Dio fatto uomo. Si potrebbe dire che Dio ha realizzato Dio, poiché solo l’amore puro può realizzare l’amore, e in questo abbraccio definitivo vi il compimento e la promessa che un giorno “Dio sarà tutto in tutti”, e vi saranno cieli nuovi e terra nuova.
Concludendo, la Rivelazione di Dio è unica e incomparabile nella storia umana. La cultura contemporanea sembra auspicare una religione unica, ritenendo che le religioni siano divisive, motivo di conflitti nei popoli e tra le Nazioni. Esistono correnti di pensiero che auspicano un sincretismo che dovrebbe avere come denominatore unico il credere nel “divino” che ognuno chiama come meglio ritiene. Questo “Grande Essere”, come qualcuno lo chiama, non sarebbe un essere personale, ma indistinto senza volto: e non avrebbe parole da dire al mondo, indicazioni per vivere, valori oggettivi da seguire. La morte sarebbe l’assorbimento di ognuno nel “tutto” del cosmo, nel magma della natura, un annullarsi senza storia e relazioni. Una specie di panteismo, dove l’anelito del cuore verso la vita piena, il per sempre della felicità, non solo non può trovare risposta, ma è annullato.
In questa prospettiva, si può vedere il regime del soggettivismo assoluto che non crede alla possibilità della verità oggettiva e universale: essa è vista come una forma di arroganza da parte di chi invece la sostiene sia sul paino filosofico che su quello religioso ed etico. Tale posizione nasconde in realtà il desiderio di un mondo senza Dio comunque si chiami. Si punta ad una società positivista dove la religione, se c’è, deve piegarsi a parametri mondani, come scriveva chiaramente A. Comte all’inizio del XIX secolo. Parlando della Chiesa Cattolica, ne auspicava una lenta e inevitabile transizione in chiave positivista. Il Positivismo, infatti, è un materialismo che afferma solo ciò che è quantità, negando tutto ciò che non cade sotto i sensi, e quindi non è misurabile con mezzi empirici.
La Chiesa, pertanto, poteva continuare ad esistere ma negando il soprannaturale, diventando una organizzazione composta non da “servitori di Dio”, ma da “servi dell’umanità”. Questo processo, nel tempo, avrebbe portato la Chiesa alla sua”maturità”, riconoscendo finalmente la verità: la negazione di Dio e l’ affermazione dell’ uomo.
Comte considerava la fine della Chiesa Cattolica auspicando non il sincretismo religioso, ma una graduale metamorfosi della dottrina, convinto che il progressivo cambiamento delle verità cattoliche fosse la via della sua estinzione.
Il sincretismo potrebbe essere una via intermedia, ma con il medesimo esito. Infatti, un credo privo di contenuto, o con contenuti minimi e contorni sfumati, è la premessa della sua sparizione: a che serve se non dice da dove veniamo, dove andiamo e come andarci? Se ne può fare a meno, perché è senza significato per l’individuo e per il mondo. Ritorna la questione decisiva della “differenza cristiana”, cioè dello specifico della fede, della novità assoluta di Cristo e della sua Rivelazione.
Appiattirsi nelle prospettive del mondo e nel suo vocabolario, magari con l’intenzione di avvicinarsi all’uomo moderno e in particolare ai giovai, è una illusione. Rendere nebuloso il Mistero di Cristo con le sue implicazioni esistenziali, può suscitare qualche sorriso di compiacimento, ma non converte a Cristo. Nessuno ha la pretesa di convertire, ma il desiderio che ognuno incontri Gesù, questo non possiamo non averlo. Ripetere le parole del mondo, le sue prospettive e priorità, non avere una parola diversa, assolutamente nuova, perché il mondo dovrebbe ascoltare?
Senza la prospettiva della vita soprannaturale, il Cristianesimo si riduce a volontarismo di alcuni valori come pace, giustizia, filantropia, che formano quell’ umanitarismo che si vuole presentare come nuova e unica religione, come il collante mondiale. Salvo poi usare come materiale unificante il mercato e il profitto con i risultati che vediamo.
Sembra che la cultura occidentale senta una certa insofferenza verso il Cristianesimo, e in particolare verso la Chiesa Cattolica. È giusto chiedersi il motivo. Una prima ragione riguarda il messaggio evangelico: se Cristo è la Rivelazione di Dio, della realtà dellìuomo e dell’universo, della loro Origine e del Destino, nonché del modo di vivere … tutto questo è troppo diverso rispetto all’ idea che il mondo ha di sé e della vita.
La sua logica è diversa. Basta pensare, ad esempio, ai cosiddetti temi sensibili sulla vita e la morte, la famiglia e la natura, la dignità umana e il suo fondamento, la libertà e l’educazione. Tutto ciò non è decorativo nell’esistere dell’uomo, ma ne è il fondamento, e pertanto non può essere negoziato. A fronte di tale visione, il mondo percepisce il Cattolicesimo come un corpo estraneo che non si lascia inglobare nel sistema, ma che è segno di contraddizione. Il secolo non vuole essere giudicato nei suoi criteri e nei suoi obiettivi, quindi il corpo estraneo dev’essere assorbito o dissolto.
Collegato a questo, c’è anche un altro aspetto: il moderno avverte che la fede genera libertà, libertà di giudizio e di azione, di resistenza e di prospettiva. Oggi manca il pensiero critico poiché non si insegna a pensare, a usare correttamente la ragione e la logica, ad argomentare senza usare degli slogan. La coscienza critica crea fastidio, meglio che la gente produca e consumi, ma che non pensi in modo consapevole. In cambio, riceverà beni di consumo e passatempi, diversivi per distrarsi dalle preoccupazioni e rilassarsi dalle tensioni. Altri penseranno a pensare per tutti. Le pagine del “Grande inquisitore” dei “Fratelli Karamazov, mettono a fuoco con potenza il dramma: Cristo viene accusato e bandito perché colpevole di avere dato agli uomini la libertà. Essa è troppo pesante: il vero salvatore è colui che la toglie e l’assume su di sé!
Cari Amici, la Rivelazione di Cristo è necessaria e incomparabile, è lievito e sale in un mondo che, in nome di un malinteso camminare insieme o della uguale dignità di ogni essere umano, si uniforma al basso. Come dicevo, da una parte si esaltano le differenze di qualunque genere, dall’altra si è intolleranti verso alcune differenze come quelle religiose, etiche, storiche, civili e nazionali. Ciò che non si piega al disegno complessivo di una volontà “superiore”, viene demonizzato come nazionalismo e fanatismo divisivo. Si è lusingati di venire accolti nel consesso dei “grandi” se ci si adegua al pensiero unico, al regime dominante che ha i mezzi per far sentire la propria voce, e per condizionare le idee sull’ uomo, la cultura, e quindi sul modo di vivere.
La “differenza cristiana” si trova in questo bivio: tocca a noi non rinunciare, in nome di un umanitarismo che sempre più si rivela un controllo globale, a ciò che è proprio e unico della divina Rivelazione. Si può costruire una fraternità mondiale sulla sabbia dell’equivalenza e della sospensione del giudizio? Giudicare non significa condannare le persone, ma fare verità sui comportamenti e le situazioni. In Cristo ogni frammento di verità e di bene ritrova sé stesso, si purifica e si compie, ma solo Lui salva poiché è la pienezza della verità e dell’amore. La via passa per Cristo, è la via per l’eternità e la libertà; per i singoli, i popoli, le Nazioni, i Continenti.
Uniformare non significa avvicinare e prendersi cura come ha fatto il buon Samaritano, ma ingannare e tradire chi ha bisogno di ritrovare salute, riparo e salvezza. La differenza cristiana chiede a noi coerenza di vita, ma essa non dipende dalle nostre incoerenze: le nostre fragilità non tolgono uno “iota” da ciò che Gesù ha detto e ha fatto. Questa “differenza” non rinchiude né allontana, al contrario permette di accostarci a tutti con maggiore apertura, anzi con amore: quello di Cristo.
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