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Arriva il Death Café «per parlare di morte». Una volta bastava il catechismo
NEWS 10 Maggio 2023    di Raffaella Frullone

Arriva il Death Café «per parlare di morte». Una volta bastava il catechismo

Chi non muore si rivede. Magari in Piemonte, dove è stata importata l’esperienza britannica del Caffè della morte che sbarca a Torino. Si tratta, nell’intenzione dei gestori, di creare un luogo in cui organizzare incontri conviviali nei quali, tra uno spritz e un aperitivo si possa «riflettere sul ciclo della vita e superare il tabù della morte». Con tanto di “professionisti” ovviamente, l’iniziativa è stata infatti promossa dall’Ordine degli psicologi del Piemonte, con l’intento «di contribuire al benessere interiore delle persone».

Il format arriva direttamente da Londra dove i confronti si svolgono davanti ad una tazza di té e una fetta di torta corredata di teschio d’ordinanza. C’è anche un sito dedicato in cui si spiega che il Death Cafe è un “franchising sociale” diffuso in Europa, Nord America e Australia che conta 15934 locali in 84 Paesi del mondo dal 2011. Il modello è stato sviluppato da Jon Underwood, uno studioso di buddismo morto prematuramente a 44 anni e e da sua madre Sue Barsky Reid , sulla base delle idee di Bernard Crettaz, rimasto vedovo nel 1999 che per primo ebbe l’idea di “discutere della morte di fronte ad un caffè”.

I requisiti sono semplici: il Death cafè deve essere su base “no profit, deve svolgersi in uno spazio accessibile, rispettoso e riservato e soprattutto non deve avere alcuno scopo di dare risposte o portare le persone a conclusioni”. Non sia mai. Anche se in realtà poi le risposte si trovano, a Bangkok ad esempio, il Caffè della morte è diventato una mostra con tanto di bara  per “acquisire consapevolezza”, il curatore è stato intervistato dalla Cnn: «Se pensi che domani sia il giorno della tua morte, che domani morirai, non userai il tuo tempo prezioso per vendicare il nemico, o per ottenere più soldi, anzi. Utilizzerai quelle sei o sette ore che ti restano per fare del bene, per tornare dalla tua famiglia o abbracciare i tuoi figli – poi aggiunge – Il nostro signore Buddha ha insegnato spesso sulla consapevolezza della morte e ha detto che quando uno pensa ed è consapevole della sua morte, diminuirà il ‘me’ nella sua mente e combatterà così l’avidità e la rabbia».

Fa pensare a quanto detto recentemente da Michela Murgia, che qualche giorno fa ha annunciato, in occasione della presentazione del suo libro, che a causa di un tumore potrebbe avere solo qualche mese di vita e ha aggiunto che quello che le interessa è non morire quando ci sarà un «Governo fascista», ossia quello in carica. Il Death cafè ha l’obiettivo dichiarato di focalizzare le persone sulle cose che contano, peccato che quello che conti, in punto di morte, non sia tanto “diminuire il me”, “non avere risposte precostituite” o far cadere un Governo, ma prepararsi all’incontro decisivo della vita, quello che apre la porta all’eternità. E’ vero che oggi la morte è un tabù, non se ne parla affatto a meno che non sia per celebrare il defunto, che è sempre “una brava persona”, o per discutere del diritto a morire “come atto di estrema libertà”.

Un tempo c’era il prete, per queste cose, c’erano i Novissimi, c’era il Catechismo. «Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, il corpo dell’uomo cade nella corruzione, mentre la sua anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della risurrezione di Gesù» e poi ancora: «La visione cristiana della morte è espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” ».

É l’unico caso in cui il proverbio non è valido, perché… anche chi muore, si rivede. (Foto Facebook)

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