Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo la prolusione di Alfredo Mantovano, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, tenuta al Congresso internazionale “La rivoluzione Billings 70 anni dopo” svolto all’Università Cattolica 28-29 aprile 2023
1.La fertilità, che il vostro convegno pone al centro dell’attenzione, ha un grande interesse non solo dal punto di vista biologico e medico, ma anche dal punto di vista sociale, politico e giuridico.
Ex facto oritur ius, dicevano gli antichi: il senso di questa massima – elaborata dai glossatori medievali – riporta al legame profondo tra la vita e il diritto, tra fenomeni sociali ed esigenze di normazione.
La politica nel senso più alto del termine ha la funzione di confrontarsi col reale, non già per recepire e regolare tutto quello che si presenta, ma per coglierne l’essenza, affiancarla ai valori di riferimento e trarne le scelte necessarie.
2.Questa prospettiva fa cogliere il senso politico e giuridico dalla fertilità umana. La restrizione di essa, o la complicazione nella sua piena realizzazione, danno luogo a problemi personali e sociali che alla fine rimettono alla politica le valutazioni e le scelte.
Tra le molte sfaccettature del problema, accenno a due:
3.Il primo profilo pone alla politica la richiesta di compiere il confronto tra i mezzi posti a disposizione dalla medicina e dalla scienza – l’elemento fattuale – e i valori umani e sociali posti a fondamento del nostro ordinamento – l’elemento assiologia.
Il confronto è complesso perché le scelte che si compiono incidono sulla vita e sui desideri intimi delle persone, verso cui occorre profonda sensibilità; ed è delicato, perché non vi è comunanza di visione su quale debba essere il quadro assiologico e valoriale di riferimento. Non devo ricordare i dettagli del problema, a tutti noto, della contrapposizione tra visione classica, orientata a considerazioni bioetiche, e visione relativista, secondo cui non esistono valori oggettivi, ma soltanto affermazioni individuali.
3.1. A dire il vero, per entrambe le impostazioni dovrebbe valere il principio di ragione, la cosiddetta “law of reason” secondo gli ordinamenti di common law, “summa ratio” secondo le parole di Cicerone (De Legibus, I, 6).
Il criterio di ragionevolezza dovrebbe valere non soltanto muovendo da una impostazione filosofica e assiologica trascendente, ma anche in una prospettiva immanente e integralmente laica: Kant, autore del celeberrimo principio per cui “il diritto è l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio dell’uno può accordarsi coll’arbitrio di un altro”, ha avuto cura di aggiungere che deve avvenire sempre nella cornice di una “legge universale della libertà”. E qual è questa “legge universale della libertà”? Appunto, la legge della ragione.
Chi pretenda di ridurre il diritto a “ciò che le leggi in un certo luogo e in un certo tempo prescrivono o hanno prescritto” finirebbe per essere incapace di “riconoscere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto”, poiché “le origini di quei giudizi”, fondamentali per la giuridicità, risiede “nella ragione pure quale unico fondamento di ogni legislazione positiva possibile”. (I. Kant, La metafisica dei costumi, Parte Prima. La dottrina del diritto, Cap. I. Introduzione alla dottrina del diritto, par. B).
È questo il solco tracciato dalla Costituzione, fin dalle prime pronunce della Corte Costituzionale, secondo cui la scelta politica e normativa deve essere “fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne giustifichino l’adozione” (Corte Cost., n. 7/1963 e giurisprudenza successiva). Dunque, non ogni desiderio o possibilità recata dalla tecnica possono essere assecondati dalla politica e dal diritto. Il diritto non è e non può essere soltanto “ratio imperii”, ossia relazione al comando, strumento di affermazione di volontà e autorità politica, ma anche e ancor profondamente “imperium rationis”, ossia governo della ragione.
Il problema è che, alla base delle attuali concezioni relativiste, cui ho prima fatto cenno, non vi è un individualismo razionale di matrice kantiana, bensì una impostazione che affonda le radici nella negazione filosofica dei principi della logica tradizionale e, quindi, dello stesso principio di ragione. Si adotta, conseguentemente, una visione conflittuale della politica e dei rapporti sociali e una visione autoritativa e volontaristica del diritto come mero strumento di comando del detentore del potere.
3.2. Venendo al tema specifico del convegno, va ricordato di come la cura della mancanza di fertilità sul piano fisico sia già stata regolamentata dal nostro ordinamento: la funzione primaria degli strumenti di procreazione medicalmente assistita previsti in particolare dalla legge 40 del 2004 è quella di affrontare in modo equilibrato i problemi attinenti alla fertilità, discernendo pratiche compatibili con un razionale quadro di valori, rispetto a pratiche vietate.
Sappiamo bene che una serie di decisioni giurisprudenziali ha in parte snaturato la legge del 2004, tanto che alcuni dei principali problemi bioetici oggi in discussione ruotano proprio sulle modalità di concepimento della vita, sul loro riconoscimento e sulla loro legittimazione sociale e giuridica.
In questo quadro, i metodi naturali per la conservazione e la cura della fertilità, come quello cui l’odierno convegno è dedicato, manifestano utilità e importanza sotto molteplici profili:
Vanno quindi incoraggiati, sul piano culturale e della prassi, metodi – come quello, ormai consolidato, oggetto di studio in questo convegno – che consentono di affrontare le tematiche della fertilità umana in modo naturale, bioeticamente appropriato e sostanzialmente gratuito.
4.Vi è però un secondo profilo: l’esigenza di cura della mancanza di fertilità sul piano sociale e aggregato. La fertilità, come presupposto della natalità, è un problema politico non soltanto in relazione al discernimento della compatibilità o meno delle aspirazioni individuali e delle possibilità consentite dalla tecnica rispetto al quadro assiologico di riferimento, ma anche in relazione all’incidenza che la natalità presenta su moltissime scelte pubbliche.
4.1. Se limitiamo lo sguardo anche soltanto alle dimensioni macroeconomiche fondamentali, la circostanza che una Nazione presenti un tasso di fertilità e di natalità inferiore al tasso di mortalità, con conseguente mancato raggiungimento del cosiddetto tasso di sostituzione naturale della popolazione, pone un drammatico problema di sostenibilità economica e un conseguente drammatico problema di allocazione intergenerazionale delle risorse.
Alla riduzione delle nascite corrisponde nel medio periodo una contrazione dei giovani che lavorano, e quindi una riduzione delle entrate contributive e fiscali; al parallelo incremento della popolazione anziana, corrisponde un aumento dei costi sanitari e di assistenza per soggetti che non producono. L’equilibrio si rompe, il welfare state non è più sostenibile e, con esso, non è più sostenibile la garanzia dei diritti civili e sociali che si è faticosamente cercato di assicurare alle persone. In questo quadro l’eutanasia o l’assistenza al suicidio, prima ancora che rivendicazioni di pseudo diritti è strumento di gestione del welfare.
4.2. L’Italia, purtroppo, si trova sotto questo profilo in una situazione drammatica. Se si guardano i dati Eurostat, l’Italia è terzultima tra i Paesi Europei per indice di natalità: si ferma a 1,24 figli per donna in età fertile, ed è in continua diminuzione.
Poche settimane fa l’ISTAT ha attestato per il 2022 il record storico negativo per numero delle nascite. È stato il primo anno, da quando si compiono le rilevazioni statistiche, in cui il numero delle nascite è stato inferiori a 400.000 bambini.
Sul differenziale, il divario annuale fra le nascite e le morti nel 2022 ha superato le 320.000 unità, 713.500 morti contro 392.500 nuovi nati. È come se ogni anno scomparisse l’equivalente di una città come Bari. Rispetto a soli quattro anni fa, si hanno circa 30.000 nati in meno all’anno. Sembra lontanissimo il 2006, ultimo anno in cui si registrò una situazione di parità, con circa 560.000 nascite e altrettanti decessi: in appena 15 anni l’abbattimento demografico è stato del 30%; il 1964, con 1.035.000 nascite, sembra appartenere a un’altra era.
Il 1964 è stato anche l’anno del boom economico. Verrebbe da dire che, come lo spread dei titoli di Stato si correla alle crisi politiche, lo spread demografico va messo in relazione con la crisi, politica, economica, finanziaria, nella quale siamo immersi. Non solo l’Italia, ma l’intera Europa, che – come regione geografica – ha complessivamente il tasso di fertilità più basso del mondo.
5.Per invertire questa drammatica tendenza occorre uno sforzo corale. La politica, il governo, possono essere soltanto una parte di questa azione di rinascita e indubbiamente lo saranno per quanto di loro pertinenza. In questi primi sei mesi, molte sono state le azioni intraprese dal Governo e dalle Camere a supporto della famiglia e della natalità:
Non bisogna pensare, tuttavia, che il problema della denatalità si risolva coi soldi e coi servizi pubblici. Il problema è, infatti, anzitutto culturale.
Ci sono stati dei momenti nella nostra storia di italiani nei quali tutto sembrava perso: sono stati momenti di lutto, di miseria, di paura, di guerra. Eppure il popolo italiano ha saputo prendere in mano il proprio destino e passare in pochi anni dalle macerie alla ricostruzione, dalla morte alla rinascita. È riuscito a farlo perché era un popolo sano, costituito da famiglie animate da valori solidi e che, per questo, guardavano con fiducia al domani e sapevano perciò affrontare con generosità i sacrifici. Le tasche erano più vuote di oggi, ma le Chiese erano certamente più piene, e le comunità più vive.
Crescere un figlio non determina solo un impegno economico; non determina solo un impegno organizzativo, per coordinare i mille impegni della vita dei genitori; richiede anche e ancor prima una parziale rinuncia a se stessi, alla propria quotidianità, ai propri piani, in vista di un’altra persona che acquisisce per forza di cose la priorità. Forse è proprio questa la difficoltà maggiore, da un punto di vista di culturale, che scontano le nostre società cosiddette “del benessere” e la causa profonda della odierna denatalità.
In questo quadro, il compito della politica, del governo, è per natura limitato agli aspetti estrinseci: cercare di porre gli Italiani, le famiglie italiane, nelle condizioni di svolgere al meglio le proprie funzioni, di sostenerle, soprattutto nelle scelte di investimento nel futuro.
Per questo il vs convegno merita plauso. Esso compie, infatti, una operazione culturale importante:
Vincere l’arrendevolezza. Il Censis per il 2022 ha rilevato la malinconia quale connotato del corpo sociale: nella sua declinazione sociale, la malinconia è un sentire non costruttivo, è rassegnazione, è rifiuto dell’impegno, è quella chiusura al domani attestata dall’inverno demografico nel quale siamo immersi.
Il governo raccoglie oggi questa sfida per vincere il triste ripiegamento sociale su sé stessi. Il segnale di reale cambiamento sarà non qualche punto in percentuale in più di consenso nei sondaggi, bensì l’inversione di tendenza nel trend demografico: perché la nascita di un figlio è il segno più concreto di speranza nel futuro.
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