L’Australia è uno dei Paesi più aperturisti in tema di “cambiamento di sesso”. Solo nel 2016 il ministero dell’Educazione dello stato del Nuovo Galles del Sud, per voce dell’allora sottosegretario Gregory Prior, si diceva soddisfatto del servizio offerto ai bambini «che si identificano come transgender», un “servizio” compreso nel programma “Safe Schools”, ovvero “scuole sicure”. Contestualmente con un certo orgoglio spiegava che tra i “pazienti in cura”, ovviamente con bloccanti della pubertà, c’era un bambino di soli quattro anni. L’acqua sotto i ponti però passa, in questo caso a prezzo di tanto dolore e negli ultimi anni sul fronte della “transizione di genere” nei confronti dei minori, Paesi come la Svezia, la Finlandia, la Norvegia e soprattutto l’Inghilterra sono stati costretti ad un clamoroso dietro front dopo essersi scontrati con l’incontrovertibile realtà che questo percorso non allevia il dolore che prova chi vive con disagio la propria identità sessuale e anzi, il trovarsi di fronte all’irreversibilità del processo di cambiamento acuisce la frustrazione e sfocia spesso in stati di ansia e depressione prevalentemente causate dai danni irreversibili che questo percorso lascia.
E così anche in Australia si comincia a fare marcia indietro. Nel 2022 i giornali hanno parlato di Jay Langadinos, una donna di 31 anni che ha citato in giudizio il suo psichiatra per negligenza professionale. Nel 2010, il medico in questione le aveva diagnosticato la disforia di genere, e successivamente aveva certificato di non vedere controindicazioni per una mastectomia bilaterale cui è seguita un’isterectomia. Sei anni dopo la donna si è resa conto di aver commesso un errore. Dopo aver consultato un altro psichiatra, è giunta alla conclusione che non avrebbe dovuto sottoporsi alla terapia ormonale e ai due interventi chirurgici. «Sapere che non potevo avere figli è stato devastante» – ha dichiarato al Sidney Morning Herald. Ma è solo la punta dell’iceberg, nel dicembre scorso il senatore del Queensland, Malcolm Roberts aveva esortato il Governo a rivedere l’operato delle cliniche per “disforia di genere nel Paese” di fronte a quello che stava accadendo in Europa. Gli era stato risposto che «Il governo australiano si occupa di fornire servizi sanitari, non di toglierli».
Ma il mostro coi piedi d’argilla comincia a tremare, lo scorso mese di febbraio proprio in Australia è stato pubblicato uno studio medico dal titolo Scelte del percorso di sviluppo dei giovani che si presentano a un servizio di genere con disagio di genere: una prospettiva- Studio di follow-up, si tratta di uni studio prospettico che esamina le scelte del percorso di sviluppo di 79 giovani che sono passati dal Dipartimento di Medicina Psicologica di un ospedale per la valutazione diagnostica della disforia di genere (GD) e per potenziali “interventi medici di affermazione del genere”. Dopo una lunga disamina sugli effetti delle terapie ormonali lo studio arriva ad affermare che : «I bloccanti della pubertà sono stati precedentemente considerati un trattamento completamente reversibile. Nell’ultimo decennio, tuttavia, i rapporti sugli effetti avversi sulla densità ossea, che portano in età adulta a un aumento del rischio di fratture e cifosi, hanno indotto alcuni professionisti a riconsiderare questa visione. Nel presente studio, gli effetti avversi sulla salute delle ossa e sulla salute cardiovascolare (attraverso l’aumento di peso) sono emersi come due aree chiave di preoccupazione».
In effetti nello studio si osserva che in uno degli aspetti considerati in una parte dello screening si osserva che quattro partecipanti su sette che dopo i trattamenti osservavano una bassa densità ossea avevano una bassa densità ossea prima dell’inizio dei bloccanti della pubertà, ma anche i restanti tre alla fine registravano il medesimo problema. Aspetto questo, evidenziato anche nell’intervista alla professoressa Maura Massimino, Direttore divisione di Pediatria Oncologica della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, nel primo piano del mese di Aprile.
Oltre alle ossa lo studio rileva la presenza di stati depressivi, infertilità, funzioni di crescita compromesse. Il campione non è enorme ma abbastanza da far mettere nero su bianco nello studio «Più in generale rimangono molte incognite riguardo agli effetti a lungo termine dei bloccanti della pubertà. Un team internazionale e interdisciplinare di esperti ha suggerito la valutazione degli effetti sullo sviluppo neurologico come una priorità di ricerca urgente». Sono gli stessi effetti rimarcati anche da Maura Massimino, primario del reparto di oncologia pediatrica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, nella nostra intervista sul numero di aprile sugli effetti dei bloccanti della pubertà. Identico anche l’appello a mettere un freno ad una pratica di cui fanno le spese i più piccoli.
Che questi appelli non restino inascoltato. (Fonte foto: Pexels.com)
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