«Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio». Difficile penetrare il mistero nascosto dietro queste parole che descrivono l’evento che ha cambiato completamente la storia dell’umanità – cui è dedicato l’ultimo numero della nostra rivista, alla quale vi invitiamo ad abbonarvi – e che in questi giorni si ricorda e si celebra in tutta la Chiesa. Ne abbiamo parlato, soffermandoci anche sul suo nesso con la sofferenza umana, con don Nicola Bux, docente alla facoltà teologica pugliese, già collaboratore di Benedetto XVI, durante il suo pontificato, come consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, della Congregazione per la Dottrina della Fede, della Congregazione per le cause dei santi nonché dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice.
Monsignor Bux, la via crucis è una pietra d’inciampo oggi perché nessuno comprende più il senso del sacrificio?
«La via crucis, in verità, è sempre stata pietra d’inciampo, però bisogna intendersi perché il mondo usa spesso questa espressione: “Ha passato una via crucis” oppure “ha attraversato un calvario”, a proposito delle vicende umane. Pertanto la via crucis, il mondo, sa bene che cos’è che poi non la accetti perché la ritiene un controsenso, per chi ha una concezione gaudente della vita, è un altro discorso. Io credo, però, che anche quelli che sono lontani dalla fede, alla fine, la domanda sul senso della sofferenza e del dolore, se la pongono, perché, lo dicono anche grandi figure e grandi menti che hanno illustrato la letteratura, l’arte. Pertanto, credo che a chi segue Gesù Cristo, come diceva Giovanni Paolo II, “sulla via della croce da due millenni milioni di uomini e di donne lo hanno seguito”, sa molto bene che Cristo ha risposto proprio a questo tragico del dolore, della sofferenza e della morte, dicendo che è quello il modo, morendo come il chicco di grano e non rimanendo solo, è il modo per portare molto frutto e Lui ha dato l’esempio.»
Ma perché Dio sacrifica il Figlio per salvarci, quale atrocità doveva chiedere questo prezzo?
«L’atrocità commessa dal primo uomo, quella di ribellarsi a Dio e con un atto di indicibile superbia e dal quale è scaturito poi tutto il male del mondo. È chiaro che questo male che è la negazione di Dio, addirittura della creazione, come stiamo vedendo nel nostro tempo, dell’uomo che vuole capovolgere la creazione mettendosi egli stesso al posto del Creatore, nelle varie forme di aberrazione che conosciamo che arrivano fino al concepimento, nell’andare contro la natura creata da Dio. Capiamo anche noi, oggi, quanto sia atroce questa ribellione che non fu solo del primo uomo, ma alberga anche negli uomini di oggi, nelle varie forme. Quindi si comprende perché riparare a queste atrocità sembra quasi impossibile, come noi stessi diciamo davanti ad alcune tragedie: “Chi ripagherà più? Chi risarcirà?” Ecco, c’è chi ha riparato e ha risarcito, con la sua sofferenza, per il semplice fatto che non era appena un uomo ma era il Figlio di Dio. Quindi si è caricato su di sé tutte le atrocità e i peccati del mondo e li ha espiati. E questo, agli occhi del Padre, è stato un sacrificio degno di ricevere come ricompensa una vita più bella e più grande, come dice Giovanni Paolo II, cioè la resurrezione. La via aperta per chiunque segue la via della croce di Cristo»
Oggi, silenziosamente, è ancora il sacrificio degli umili a salvare l’umanità? In che senso?
«L’umiltà va intesa come la capacità degli uomini e delle donne, nel tempo, di tenere i piedi per terra, di non pretendere, col cuore in fiamme, l’impossibile. Quindi, l’atteggiamento umile che è stato quello di Cristo, è stato quello di tenere i piedi per terra, di essere realista, perché Cristo non è stato né ottimista né pessimista, sono categorie, queste, che non hanno alcun senso per conoscere. Quindi la conoscenza che viene dal realismo, dall’approccio con la realtà e non dall’utopia, è impagabile. Il cristianesimo ha insegnato al mondo a tenere i piedi per terra, considerare la realtà nella sua multiforme condizione, ma anche come possibilità di cambiamento. La realtà non è bloccata, è in movimento, quindi come diceva Chesterton, abbiamo bisogno di una chiesa che non cammini, non si muova con il mondo, ma che muova il mondo». (Fonte foto: ricerca immagini Bing licenza libera)
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