Non si va a Messa, non si crede in Dio e, quindi, si è atei. Punto. È un po’ questo l’iter ma anche il ragionamento che si è portati a fare, rispetto alla secolarizzazione dell’Occidente. E, in effetti, i dati sulla desertificazione dei seminari e degli stessi luoghi di culto – ormai da tanti e considerati come «musei religiosi da visitare», più che altro – vanno ormai da decenni in questa direzione. Però, ecco, «Dio potrebbe avere altri progetti», nel senso che potrebbe sopravvivere anche alla siccità spirituale. In che modo? Restando come bisogno insaziato dentro il cuore dell’uomo.
Questo, almeno, lascia intendere una nuova maxi ricerca appena uscita sulla rivista scientifica The Lancet Regional Health – Europe. L’appellativo di maxi ricerca appare qui più che meritato, dato che con questo studio si sono considerati quasi 105.000 danesi sopra i 18 anni di età (104.137 è il numero esatto del campione), un numero davvero immenso di persone che è stato approfondito ponendo loro numerosi quesiti. Quesiti che, attenzione, a prima vista non hanno fatto che confermare – peraltro in modo quanto mai netto – l’inarrestabile dilagare della secolarizzazione nel Paese nordico.
Infatti – per limitarci a qualche percentuale – meno del 42% del campione si è dichiarato credente, il 22,6% ha dichiarato di «non conoscere» il proprio orientamento religioso e perfino quelli professanti una non meglio precisata «fede universale senza teologica specifica» (3,8%) sono risultati più numerosi dei cattolici (2,2%). Al di là di una pratica religiosa decisamente in declino – meno del 13% del campione ha dichiarato di recarsi in un luogo di culto -, a colpire poi è un dato: oltre l’80% dei danesi (80,4%) ha dichiarato che «Dio non è importante» nella loro vita. Dunque il secolarismo ha vinto? Non esattamente.
Infatti, quando si è passati da queste domande di routine a quesiti più accurati, sono emerse delle sorprese. Gli autori della ricerca, infatti, hanno voluto esplorare – al di là delle etichette – quattro dimensioni di bisogno spirituale: quello “religioso”, quello “esistenziale”, quello “generativo” e di “pace interiore”. Ebbene, sondando lo stesso campione di cui sopra, si è scoperto un dato a dir poco sorprendente: oltre l’80% dei danesi, infatti, ha risposto e riferito di aver sperimentato almeno un bisogno spirituale «forte» o «molto forte» nell’ultimo mese.
«I danesi non parlano molto delle loro convinzioni e dei loro valori personali e hanno un basso grado di pratica religiosa», ha commentato Niels Christian Hvidt, uno degli autori di questa importante ricerca, «ma come mostra lo studio, noi in Danimarca abbiamo gli stessi bisogni di pace interiore, significato, fede e speranza che si riscontrano nei Paesi più religiosi». Ora, a parte che la secolarizzazione non è mai un processo a costo zero – se si svuotano le chiese, c’è un aumento di “morti per disperazione” -, ci sono almeno due considerazioni che possono essere fatte a proposito degli esiti di questo studio.
La prima è che esso non fa che confermare quello scenario per cui non solo una forma sotterranea e invisibile di fede, sia pure sotto le ceneri dell’indifferenza, resiste ma – come abbiamo già raccontato sul numero di dicembre della nostra rivista, cui vi invitiamo ad abbonarvi – ci sono solidi indizi che lasciano immaginare come nel mondo del futuro non sarà la religione, bensì il laicismo ad essere spacciato. In secondo luogo, la questa recentissima e immensa ricerca, alla fine, sottolinea con forza un fatto semplice ma decisivo: può anche non ammetterlo e vivere ignorandoLo, ma l’uomo ha sempre bisogno di Dio. (Foto: Pexels.com)
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