Nella giornata di ieri, 6 marzo, l’Istat ha pubblicato il Report relativo ai matrimoni, alle unioni civili, alle separazioni e ai divorzi del 2021 e ai primi dati provvisori relativi al 2022.
Il quadro di sintesi è il seguente: «Nel 2021 sono stati celebrati in Italia 180.416 matrimoni, l’86,3% in più rispetto al 2020, anno in cui, a causa della crisi pandemica, molte coppie avevano rinviato le nozze. L’aumento non è stato però sufficiente a recuperare quanto perso nell’anno precedente (la variazione rispetto al 2019 è infatti pari a -2,0%). I matrimoni religiosi, quasi triplicati rispetto al 2020, sono in calo (-5,1%) rispetto al periodo pre-pandemico. Nei primi nove mesi del 2022 i dati provvisori indicano un lieve aumento dei matrimoni (+4,8% rispetto allo stesso periodo del 2021) dovuto esclusivamente alla crescita dei matrimoni civili (+10,8%). Crescono in misura marcata (+32,0%) le unioni civili».
MATRIMONIO SÌ, MA CIVILE
La gente sta tornando a sposarsi. Certo, non come in passato (nel 2008 i matrimoni erano stati oltre 246.000, quindi ben 66.000 in più rispetto al 2021), ma la propensione – guardando anche ai dati provvisori del 2022 – è di un tendenziale aumento. Come mai?, viene da chiedersi, alla luce dell’accettazione oramai generalizzata della convivenza more uxorio, considerata quasi un passaggio obbligato, una sorta di test “pre-matrimoniale”. Naturalmente una risposta certa non c’è. Ma un dato potrebbe essere che, anche in seguito alla pandemia di Covid-19, la gente è alla ricerca di una maggiore stabilità. Lo tsunami pandemico, che in un attimo ha annullato tante certezze che sembravano intoccabili, ha risvegliato in molti un bisogno di ancoraggio alla realtà che passa anche attraverso una scelta come quella matrimoniale. E questo è di certo positivo.
Accanto a questo, tuttavia, i dati del 2021 certificano ancora una volta una situazione che si protrae orami dal 2018: i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi. E se cinque anni fa la percentuale era risicata, appena del 50,1%, nel 2021 gli uniti civilmente sono stati il 54,1%: di certo di meno rispetto al boom del 2020, che aveva visto il 71,1% dei matrimoni registrati in Comune, ma se quello era un anno a sé, è innegabile che il trend non pende in favore della Chiesa. Anche perché, la questione è nota, in tanti oggi (e anche “ieri”) si sposano in chiesa solamente perché la locationrisulta più suggestiva rispetto a una sala comunale o perché “così mamma è contenta”, e non tanto perché vogliono unirsi davanti a Dio, nella consapevolezza del valore del Sacramento e delle grazie che da esso scaturiscono.
Ma è proprio qui che sta il punto dirimente, quello sul quale è necessario lavorare, in quanto evidentemente sempre più lontano dall’orizzonte di pensiero di tanti futuri sposi: chi decide di sposarsi in chiesa, con fede, lo fa per avere un Alleato, con la “A” maiuscola, che sia di aiuto nella vita di coppia. Perché, è inutile girarci tanto intorno, anche le coppie più affiatate presto o tardi si trovano ad affrontare una qualche crisi, grande o piccola che sia. Ed è allora che fa la differenza l’essersi sposati davanti al Sindaco, o chi per esso, oppure per mano di un sacerdote. E a dirlo sono ancora una volta i dati sociologici, che rivelano come le coppie sposate in chiesa siano le più durature… e anche le più felici.
Perché hanno preso una decisione che contempla il «per sempre», che va oltre il mero sentimento del momento, senza lasciarsi aperte possibili “vie di fuga”, più o meno brevi che siano; perché hanno una sorgente che va oltre l’altro, umano e quindi limitato, nella quale cercare di colmare il proprio desiderio di felicità; perché non hanno scelto di fare affidamento solamente sulle proprie forze, ma hanno deciso di siglare la propria unione in un Sacramento che è un «mistero grande». Cose apparentemente semplici – come peraltro semplici sono spesso gli screzi quotidiani che, incancrenendosi, portano le persone a separarsi -, ma non scontate, soprattutto in un mondo che rema in direzione opposta.
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