Il “Sabato” del Timone ospita, il 3 dicembre, a Milano, la presentazione in anteprima, del libro di Mauro Mazza, già direttore del Tg2 e Rai1 “Lo Stivale e il Cupolone. Italia-Vaticano storia di una coppia in crisi”, dedicato al rapporto tra la politica italiana e i valori rappresentati dal cattolicesimo. L’ opera raccoglie anche i contributi di suor Anna Monia Alfieri, Rocco Buttiglione, Roberto De Mattei, Gennaro Malgeri, Alfredo Mantovano, Giovanni Orsina, Marcello Pera, Francesco Perfetti, Eugenia Roccella e Monsignor Antonio Suetta. La presentazione del libro, sarà curata, oltre che dall’autore e da Lorenzo Bertocchi, direttore del Timone, anche dal giornalista Mario Giordano e monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia-Sanremo.
In preparazione all’evento del 3 dicembre, a monsignor Suetta abbiamo rivolto alcune domande.
Eccellenza, che cosa ne pensa della proposta di un bonus per i matrimoni? In questi giorni nella politica italiana non si parla d’altro. «Una proposta che mi ha suscitato una certa curiosità, non conoscendo nel dettaglio le ragioni di questa iniziativa. Genericamente l’ho interpretata così: che il governo volesse dare un aiuto alle famiglie in formazione e magari mediante l’erogazione di un contributo, in detrazione, in questo caso, volesse incoraggiare ad uscire dalle situazioni provvisorie delle convivenze, dando un incentivo di tipo economico per prendere una decisione, formando una famiglia in maniera giuridicamente più configurata. L’aspetto della proposta che mi è meno chiaro è perché sia rivolta solo a quelli che si sposano in chiesa, dovrebbe essere indirizzata, invece, a tutti quelli che contraggono matrimonio. Se lo scopo è quello di incentivare il superamento della precarietà della convivenza, allora non farei differenza tra quelli che si sposano in chiesa e quelli che, non essendo religiosi, decidono di contrarre matrimonio in forma solo civile».
Da qualche tempo c’è la moda di chiamare “ultracattolici” gli esponenti delle istituzioni che non fanno mistero della loro fede e provano a viverla con coerenza. Questa tendenza è solo una semplificazione giornalistica o si tratta di una forma di irrisione della fede? «Secondo me è una forma di reazione ironica e arrabbiata insieme. Quelli che vengono definiti ultracattolici o integralisti o conservatori, sono etichettati così con un tono un po’ sprezzante, facendo registrare un certo fastidio rispetto al fatto che qualcuno promuova dei principi non condivisi. Da parte del mainstream c’è proprio una reazione pesante motivata dalla volontà di far credere che il cattolicesimo vero sia quello diluito, perciò se c’è una persona che vive in maniera autentica la dottrina cattolica nella sua completezza, questo dà fastidio e sappiamo bene che non è certo una novità, nel nostro tempo».
Interverrà a Milano al sabato del Timone per presentare il libro di Mauro Mazza, “Lo Stivale e il Cupolone”. Si dice spesso che l’eccezione italiana di cui parlava Giovanni Paolo II sia finita. Che cosa ne pensa lei? «Ci troviamo di fronte ad una situazione in divenire. Sicuramente l’eccezione italiana, per tante ragioni legate alla storia della nostra nazione, tra cui la presenza della santa sede e a tanti fermenti tipicamente italiani, è una situazione che è stata riconosciuta come unica e positiva. Ora, che questa “eccezione” vada sfaldandosi e modificandosi è sotto gli occhi di tutti. Non sarei nemmeno così pessimista, tuttavia. Infatti, la religiosità italiana ha una caratteristica tipica, cioè quella di essere un’esperienza di popolo e questo costituisce una innervatura di tutto il suo tessuto. Nonostante la cultura italiana, oggi, sia indubbiamente esposta ai colpi della scristianizzazione e del secolarismo e gli effetti si vedono, però credo che per tante ragioni, la religiosità rimanga nel dna della nostra gente e possa essere da parte dei pastori, un buon punto di partenza perlomeno per stimolare una riflessione e conseguentemente anche un impegno concreto»
Il 3 dicembre si parlerà anche dell’esempio dato dal beato giudice Rosario Livatino. Come possiamo guardare alla sua testimonianza per vivere nel mondo senza essere del mondo? «L’esempio dei santi e dei testimoni significativi come lui, è dato dal fatto che i principi della dottrina cattolica e della vita cristiana vengono evangelicamente considerati come il lievito e il sale della società e della vita. Quindi il testimone è colui che non separa un ambito dall’altro ma con sapienza sa immettere quel lievito e quel sale nel contesto in cui è chiamato a vivere e ad esercitare le proprie responsabilità. Quindi nel caso del giudice Livatino, da una parte, c’è la sua vita personale illuminata dai principi cristiani e, dall’altra, la sua professionalità e la sua responsabilità nei confronti del bene comune, entrambe recitate in maniera non solo non contraddittoria ma assolutamente non separate dai principi cristiani». (Foto: Sanremo News, frame YouTube)
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