Il politicamente corretto sì sa, è come il nero, va su tutto e infatti lo si trova anche nelle promozioni che i brand fanno appunto in occasione del cosiddetto Black Fiday. Ieri sul podio per genialità è finito il marchio Repeat Italia, che proponeva un’offerta imperdibile sulle mutande mestruali dedicata a “tutte le persone con le mestruazioni”, no, non alle donne, alle “persone con le mestruazioni”. Si leggeva nella promo: «Repeat promette mutande da ciclo di qualità e accessibili per combattere il patriarcato mestruale». Sì, il patriarcato mestruale. Perché sì, sa, mestrua chi se lo sente, chi lo desidera, in nome dell’autodeterminazione e ovviamente della fluidità di genere. Si scherza, ma neanche troppo. Perché quelle che ai più distratti sembrano stramberie possono portare lontano. Ieri La Stampa ha pubblicato un reportage da Belgrado dal titolo «Farò partorire chi era uomo». Sottotitolo: «A Belgrado nella clinica che spalanca nuove frontiere del cambio di sesso: tra i pazienti molti italiani. Il dottor Djordjevic: “Le donne trans potranno avere figli, saremo i primi. I diritti non si possono fermare”». L’inviata dunque dalla Serbia presenta ai lettori i miracoli del dottor Miroslav Djordjevic, «57 anni, allievo della rinomata scuola serva del luminare Sava Perovic – si legge – e oggi uno dei massimi esperti al mondo delle tecniche del cambio di sesso» e che, scrive ancora ogni anno porta «a termine tra i 150 e i 200 interventi all’anno».
In effetti, negli ultimi anni la Serbia è diventata un hub cruciale nel vecchio continente per la cosiddetta “riassegnazione di genere”, per i costi più contenuti rispetto ad altri Paesi europei e dei pioneristici Stati Uniti. Ne scriveva sei anni fa la testata Vice, parlando proprio di quella che chiamava «l’industria del turismo medico a basso corso della Serbia» dove un’operazione può arrivare a costare tra i quattromila e i diecimila dollari mentre negli Stati Uniti può arrivare a costare fino a cinquantamila. Così come le coppie che vogliono “risparmiare” sull’utero in affitto si possono recare in Ucraina approfittando della povertà delle madri cosiddette gestanti, qui si arriva per l’offerta sul cosiddetto cambiamento di sesso. Ma non si tratta solo di soldi, Djordjevic è un chirurgo molto noto, che da anni dirige il Centro di chirurgia genitale di Belgrado con numeri da record e una fama al pari degli attori di Hollywood.
Tanto che La Stampa attacca il pezzo come se descrivesse l’entrata in scena dell’eroe: «Ora sì che ha un bel colore eh? Molto ma mooolto meglio di prima» Il dottor Miroslav Djordevic si fa largo tra le bende e le garze innervate di sangue. Spacchetta i lembi di pelle di quella che una vagina fatta e finita ancora non è, ma entro un’ora e mezza vedrà la luce, dopo quattro ore di chirurgia. Da Belgrado vuole fare la storia. Sorride, decisamente compiaciuto, ai quattro assistenti più anestesista che gli stanno attorno come un Presepe della creazione genitale. Il paziente non è più uomo».
Non è più uomo. Scrive l’inviata. Peccato che se questo paziente si trovasse disgraziatamente sulla famigerata scena crimine, e lasciasse qualche traccia biologica, che cosa rileverebbero i Ris di Parma della situazione? La realtà, che il paziente è un uomo, perché il Dna non si può modificare. Chi lo dice? Il dottor Djordjevic, sempre nel lungo articolo di Vice: «Non possiamo cambiare il codice genetico di qualcuno con un’operazione – affermava nel 2016- quello che cambiamo sono i suoi genitali». Eppure oggi si dice intenzionato ad andare oltre, a puntare al parto maschile. « La mia sfida più grande è arrivare al punto in cui un paziente uomo diventato donna sarà in grado di concepire e partorire dopo l’impianto di utero e ovaie. Vogliamo essere i primi al mondo». Per ora, come lui stesso ha spiegato sei anni fa, siamo ancora al livello uno, quello in cui nonostante la chirurgia e la chimica, il dna di un maschio resta tale dalla sua nascita alla morte. Chissà quante altre persone si illuderanno del contrario grazie a reportage come questi.
Senza andare a Belgrado comunque, ma con un pc e un po’ di voglia di capire, si possono scoprire cose interessanti. Per esempio il fatto che Miroslav Djordjevic conosce bene cosa significhi illudere una persona di trovare la felicità mutando aspetto ai suoi genitali esterni, perché da lui si recano tanti pazienti pentiti di esseri sottoposti all’operazione di “cambiamento di sesso”, lo si legge nella pagina a lui dedicata su wikipedia ma in rete si trovano anche altri articoli in merito. Basta cercare con il desiderio di voler capire. E se qualcuno – o più di qualcuno – dei centinaia di interventi che Miroslav Djordjevic conduce ogni anno di “cambiamento di sesso” fosse in realtà una detransition ovvero un processo in cui la persona torna ad assumere le sembianze genitali estetiche di quello che è sempre stato il suo sesso? Ma dei detransitioner nessuno parla, persone, a volte anche giovanissime, sottoposte ad interventi chirurgici irreversibili che magari all’alba dei vent’anni si trovano a voler indietro semplicemente il loro corpo, senza poterlo riavere perché mutilato per sempre da chi vendeva illusioni. Lo spiegano bene Helena, Cat e Grace nei loro drammatici “diari di detransizione”, raccontati nel documentario Saving Our Sisters della californiana Jennifer Lhal. Se solo qualcuno gliel’avesse detto prima non si sarebbero mai sottoposte a quegli interventi chirurgici irreversibili.
Sarebbero bastate le parole del dottor Djordjevic di sei anni fa: «Non possiamo cambiare il codice genetico di qualcuno con un’operazione, quello che cambiamo sono i suoi genitali». Così è. Che lo sappiano i maschi che leggendo i giornali oggi pensano davvero di poter concepire e partorire. (Foto: frame del film Junior da YouTube)
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