Sul “mistero Barilla” i fatti sono questi. Nei giorni scorsi la multinazionale con sede a Parma ha pubblicato un video dove parla di insetti «come possibile fonte proteica alternativa». L’idea che Barilla si stesse apprestando a produrre pasta con farina di insetti ha scatenato una marea di reazioni tra l’indignato e l’ironico. Ecco allora la smentita: l’azienda afferma che lo spot aveva un «tono ironico» e che, soprattutto, «non abbiamo annunciato il lancio di nessuna pasta o alimento prodotto con farina di insetti, nemmeno abbiamo alcuna volontà o interesse aziendale in tal senso».
Troppo poco e troppo tardi, il dietrofront non regge. È proprio Carmine Del Grosso, presentatore e protagonista dello spot della Fondazione Barilla, a suggerire a chi mette la panna nella carbonara di lasciar perdere, e provare, invece, a sostituire il guanciale con gli insetti. «Ne esistono più di 2 mila specie – dice Del Grosso nel video – uno che assomiglia al guanciale lo trovate».
OVERTON È ALLA FINESTRA
Molti si chiedono come mai Barilla abbia cancellato il video in questione. Anche perché (se ne sono accorti in pochi) è stato eliminato anche un secondo video, in cui la performer Laura Formenti parte così: «E se ti dicessi che per milioni di persone al mondo è più normale mangiare insetti che i canditi del panettone?». Aggiungendo subito: «Che poi in realtà si sa che non piacciono a nessuno (i canditi dico, non gli insetti)». Insomma, assoldare cabarettisti dal “tono ironico” per avere l’alibi di una futura potenziale smentita può non essere di grande aiuto.
La verità è che sull’affaire “cibo & insetti” si è aperta un’altra finestra di Overton, passando da qualcosa di “totalmente inammissibile” a qualcosa di cui si può e si deve discutere. Quanto risulti fondamentale intronizzare un nuovo tema nel dibattito pubblico è qualcosa che sa bene non solo chi conosce la precisione chirurgica della teoria del sociologo statunitense Joseph Paul Overton (a seconda di come la finestra si sposta sullo spettro dei pensieri, un’idea può diventare più o meno accettabile), ma anche chiunque abbia qualche semplicissima nozione di comunicazione e marketing. Da questo punto di vista l’“Operazione vermicelli” è andata decisamente in porto.
Eccezione Italia
Il fatto di cronaca non poteva non diventare anche un caso politico. Con giornali di area liberal che hanno lodato lo spot della Barilla richiamando in coro l’autorizzazione (data nel 2021 dall’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare) alla «commercializzare di tarme della farina, locuste migratorie e grilli domestici». Emblematico Wired Italia, per il quale «oltre al particolare caso italiano (dove l’aggettivo “particolare” va chiaramente inteso nel senso di sempliciotto/chiuso/meschino, ndr), larve, grilli, locuste e altri insetti sono largamente consumati in 140 paesi del mondo». Il perché Wired lo esprime nel fervorino successivo (identico a quello di molte altre testate): «Una tendenza […] legata alla necessità di trovare nuove fonti di proteine di qualità, economiche e a basso impatto ambientale, così da ridurre il consumo di carne animale, la cui produzione comporta un grande dispendio di acqua ed elevate emissioni di CO2 ».
Balivo & Lucarelli: «Non piacciono i vermi? Provinciali!»
Che quello di Barilla sia stato un tentativo di sdoganamento alimentare lo sottolinea anche un commento scandalizzato di Caterina Balivo, volto Rai: «Un’azienda italiana sceglie di investire e ricercare in un campo che secondo molti sarà il futuro dell’alimentazione e noi giù a criticarla? Io non capisco perché in questo Paese la lungimiranza fa tanta paura». Ancora più chiara e diretta Selvaggia Lucarelli, la quale, tanto per “farcire” ancora un po’ la notizia culinaria, scrive: «La polemica su Barilla e sull’idea che si possano utilizzare insetti per farine o in sostituzione di altri alimenti per tutelare l’ambiente dimostra quanto siamo vecchi, provinciali, poco lungimiranti. E fa male Barilla a spaventarsi, perché il futuro va più veloce degli hashtag».
Le scuse (effetto LoagaI) di Guido Barilla
A questo punto non può non registrarsi l’incredibile somiglianza di epiteti che nel 2014 arrivarono a Guido Barilla per aver pronunciato (alla Zanzara di Cruciani) queste semplici parole: «Ho il massimo rispetto per i gay e per la libertà di espressione di chiunque. Ho anche detto – e lo ribadisco – che rispetto i matrimoni tra gay. Ma Barilla nelle sue pubblicità rappresenta la famiglia perché questa accoglie chiunque». “Becero”, “provincialotto”, Roberto Vecchioni arrivò addirittura a dargli del «povero cretino». Barilla Jr. fu accusato di essere un imprenditore poco lungimirante e bigotto, colpevole di gettare discredito su uno dei brand che più identificano la cucina italiana nel mondo. È quello che capita a chi si avventura incautamente a parlare di famiglia.
Così Guido Barilla, due giorni dopo le sue parole, dovette inchinarsi di fronte a quelle lobby lgbtq+ che avevano annunciato, in pompa magna e con l’appoggio della stampa mondiale, il boicottaggio del marchio di famiglia. In ballo c’era il ddl Scalfarotto, e come ricordò l’attuale ministro per la famiglia Eugenia Roccella, «gli attacchi forsennati delle associazioni gay e l’invito al boicottaggio nei confronti della Barilla dimostrano quanto siano fondati i timori per la libertà di espressione denunciati nel dibattito parlamentare sull’omofobia».
Dal (triste) video di scuse a cui Guido Barilla si sottopose («come nemmeno ai detenuti del Laogai si chiederebbe», così l’avvocato Gianfranco Amato), la multinazionale Barilla non ha fatto altro che scalare posizioni nella politica di Diversity Management, assumendo guru del settore e spendendo cifre spaventose.
Sofia Loren e il flop degli spaghetti “Queer”
Nel 2019 Barilla arrivò a girare uno spot in collaborazione con GCDS – marchio di moda genderless – con uno scenario diametralmente opposto a quello a cui aveva abituato per decenni (genitori, figli, casa). Tra giungle metropolitane e saloni da parrucchieri, lo spot dal titolo Dinner’s ready (tradotto con È pronto) riprende gli attori di un cast “queer” diretti a casa di Sofia Loren per gustare un gigantesco piatto di spaghetti (di un’edizione rigorosamente limitata, confezionata in una scatola fucsia invece che nel classico blu). Inutile dire che il video, costato moltissimo, fu un flop clamoroso.
Nella zigzagante condotta della multinazionale parmense, fatta di marce indietro e di posizionamenti tattici, una morale senz’altro c’è. Sia che si tratti di picconate all’idea di famiglia, sia che si tratti di attentati alla cucina mediterranea («Dove c’è Barilla, c’è blatta», i social hanno risposto con l’unica arma a disposizione: l’ironia), anche nell’era della più uniformante globalizzazione, la voce dei singoli, se si alza compatta e sdegnata, conta e colpisce ancora. Non foss’altro perché va a toccare quel portafogli a cui anche i pastai in cerca di nuovi business sono sensibili.
(Fonte foto: Twitter, screenshot)
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