Per gentile concessione pubblichiamo l’omelia del cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere maggiore, pronunciata nella Basilica di San Pietro in Vaticano in occasione del Quarto capitolo del “Monastero Wi-Fi”, appuntamento convocato sabato 24 settembre dalla giornalista Costanza Miriano
——————————————————————————————————————
«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Con queste parole Gesù si sottrae alla “glorificazione” che gli attribuisce la folla. Siamo al capitolo IX di san Luca, c’è stata la moltiplicazione dei pani e dei pesci, l’invio degli Apostoli per scacciare i demoni e, nei versetti immediatamente precedenti, la narrazione dell’inefficacia di un intervento degli stessi Apostoli e della vittoria di Gesù sul maligno, ed è detto che: “Tutti furono stupiti per la grandezza di Dio” (Lc 9,43). E’ un momento di “grande successo” per Gesù, eppure Egli è come dominato dal pensiero di ciò che lo attende e dal desiderio di comunicarlo agli Apostoli.
Ma che cos’è questa “consegna” nelle mani degli uomini, di cui ci parla il Vangelo?
Innanzi tutto, ben lo sappiamo, è l’annuncio della passione e morte del Signore: la Croce! Il Dio che ha creato dal nulla ogni cosa, l’autore dell’universo e di tutto ciò che esiste, l’autore della vita di ciascuno di noi, si consegna nelle mani della sua creatura, per amore, per poterla salvare.
Che grande mistero è l’abisso infinito dell’amore divino che gratuitamente crea, gratuitamente salva e gratuitamente santifica. Per questa ragione noi crediamo, con san Giovanni, che Dio stesso è Amore: non solo Egli ama, ma è Amore, e solo la conoscenza autentica di Dio può rivelare all’uomo che cosa davvero sia l’amore. Al di fuori del rapporto vivificante con il Dio Trinitario, ci possono essere solo “imitazioni dell’amore” – e ce ne sono davvero tante imitazioni – che nulla o poco hanno a che vedere con il profondo desiderio del cuore umano di amare ed essere amato, e che ci lasciano in una aridità priva di luce e di speranza.
«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Questa “consegna agli uomini” è avvenuta una sola volta per tutte nella storia, nell’evento salvifico della passione, morte e risurrezione di Cristo; ma proprio in forza della sua vittoria sul peccato e sulla morte, sul tempo e sullo spazio, Gesù continua oggi a “consegnarsi agli uomini”, in una logica di dono che appartiene alla stessa identità ontologica agapica di Dio; ossia all’Essere amore di Dio.
La scelta di “consegnarsi volontariamente alla sua passione” (cf. Preghiera eucaristica II), similmente e conseguentemente alla scelta di assumere la nostra natura umana per salvarla, è una scelta definitiva, è la scelta libera da parte di Dio di salvare l’uomo, consegnandosi all’uomo.
Siamo di fronte al paradosso della fede cristiana, che crede in un Dio che si è fatto uomo, in un morto che è risorto, in una Vergine che è Madre. Ma esattamente all’interno di questa dinamica iperbolica e paradossale, che richiede la conversione della fede, possiamo riconoscere la misteriosa grandezza dell’amore di Dio, che tanto ci attira e nel quale riconosciamo umilmente e realmente ciò per cui siamo fatti.
Gesù continua a “consegnarsi agli uomini” in molti modi, sempre per salvarci.
Egli si consegna a noi e poi nella realtà sacramentale della Chiesa; innanzitutto nella Santissima Eucarestia, Sua Presenza reale, Suo corpo, sangue, anima e Divinità.
Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, Dio “si consegna” nelle mani dell’uomo-sacerdote e, indipendentemente dalla sua santità personale, si consegna così all’umanità tutta; ed ogni volta che ci accostiamo alla Santa Comunione, Dio “si consegna” a noi, perché non lo tradiamo come Giuda, ma lo accogliamo in noi e così Egli possa attirarci ed accoglierci dentro di sé, nel seno stesso della Trinità d’Amore.
Il Signore, ed è il tema di questo quarto capitolo del monastero Wi-Fi (per il quale ringrazio tutta l’organizzazione, in particolare la cara dottoressa Costanza Miriano, con le “sorelle collaboratrici”, unitamente ai sacerdoti che si sono resi disponibili e a tutti voi qui presenti), il Signore – dicevo – si “consegna” a noi nel sacramento della riconciliazione, come Divina misericordia, capace di ri-creare l’uomo, dandogli nuova vita, ri-immergendolo nella grazia battesimale. Non dimentichiamo che in tutta la sacra Scrittura ci sono solo due verbi che hanno come soggetto esclusivamente Dio; essi sono “creare” e “perdonare”. Solo Dio crea dal nulla, solo Dio ri-crea, perdona, dando nuova vita alla sua creatura.
Nella Riconciliazione Egli si consegna a noi come Creatore misericordioso, per donarci nuova vita, consegnandoci così non solo il perdono, ma se stesso: in ogni confessione sacramentale, Gesù Cristo ci dona se stesso e ci domanda di essere nuovamente accolto nel nostro cuore e nella nostra vita; e la conversione è l’imprescindibile condizione di tale accoglienza.
Questa “consegna” nel sacramento della riconciliazione, tuttavia, presuppone necessariamente un’altra consegna: quella della confessione del nostro peccato al confessore. L’umile ed integra accusa di tutti i peccati commessi dall’ultima confessione, di quelli mortali certamente e possibilmente di quelli veniali; è la condizione perché il cuore possa essere riconciliato, risanato dalla ferita del male e così reso di nuovo “capax Dei”, ossia capace di accogliere la “consegna” della Misericordia in persona, la consegna che Gesù fa di sé al peccatore riconciliato, ri-associandolo, così, alla propria stessa vita. È un po’ il senso della prima Lettura di quest’oggi, nella quale la sapienza di Qoèlet ci invita a guardare all’essenziale, riscoprendo sempre ciò che davvero conta.
Cosa ci spinge ad una piena consegna di sé nella confessione?
Come vincere tutte le resistenze ad una confessione integra e davvero umile, senza reticenze o auto-giustificazioni, ammettendo il proprio peccato?
Penso che due possano essere le “forze attrattive permanenti” di una buona, fedele e costante pratica penitenziale. La prima ci è stata indicata dal Vangelo stesso: l’avvenimento straordinario e la consapevolezza di un Dio che si consegna agli uomini per salvarli, certamente colpisce e commuove. Se Dio si è consegnato e si consegna a me, come posso io, piccola creatura, non consegnarmi a Lui, totalmente, sempre e senza riserve?
La seconda è l’esperienza della gioia, che accompagna quella che è la certezza morale e di fede d’essere stati perdonati. Essa non è di natura psicologica, ma teologica: non pretendiamo che la confessione faccia sparire i “sensi di colpa”; essa deve, piuttosto, risolvere il senso del peccato, che è appunto realtà teologica, non psicologica: deve ricollocarci nella certezza di fede di essere nuovamente abbracciati nella piena comunione con il Signore. E nulla può fondare più profondamente la nostra gioia della certezza di essere, per grazia, in comunione con il Signore.
L’esperienza della Misericordia, come “consegna” di Dio a noi nell’offerta della salvezza e di noi a Dio nell’umile riconoscimento del nostro peccato, e nuovamente di Dio a noi nella ri-creazione della piena comunione con Lui, porta con sé il desiderio di “rimanere in Lui”, di permanere in tale ri-creata comunione. E la “nuova creazione” ci spinge ad un atto dovuto, talvolta dimenticato, ma sempre proposto dalla genuina dottrina cattolica: il dovere della riparazione. Il peccato viene assolto dalla misericordia di Dio, dalla Chiesa attraverso il suo ministro, segnatamente, il Sacerdote, ma il dovere di riparare al male commesso rimane come obbligo morale grave del penitente. Certamente si dovranno scegliere le vie più adeguate della riparazione – commisurate alle forze e alla situazione del penitente – ma essa non potrà essere elusa. Se abbiamo calunniato, per esempio, dovremo riparare, auto-smentendoci e ripristinando la buona fama dell’altro; se abbiamo mentito, dobbiamo riparare manifestando il vero; se abbiamo rubato, dobbiamo restituire direttamente o indirettamente, quanto sottratto. Solo alcuni esempi, per segnalare il dovere della riparazione che, se non compiuta nel tempo della vita terrena, per divina misericordia, dovremo compiere in quello stato di purificazione misterioso ma realissimo che appartiene alla fede della Chiesa e che la Chiesa chiama Purgatorio.
Si comprende bene che pertanto conviene darsi da fare fin tanto che la divina misericordia ci dona ancora un tempo sulla terra!
La Chiesa ci sostiene in questo attraverso il dono prezioso e straordinario delle Indulgenze. Quando la colpa viene assolta dal sacramento della Riconciliazione, la pena ad essa relativa può permanere; l’Indulgenza è la cancellazione anche della pena, attraverso l’elargizione di una misericordia ancora più grande. Nell’Indulgenza la Chiesa esprime tutta la sua maternità e ci introduce ancor più profondamente nella comunione dei Santi, tanto è vero che può essere ottenuta per se stessi ma anche, a mo’ di suffragio, per i defunti, per aiutare il cammino di piena comunione con Dio. In questo senso, le Indulgenze, sono consolante segno della profonda unità del Corpo Mistico di tutti i battezzati. Siamo in un oceano di Amore!
«Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Il figlio dell’uomo, ed accadrà tra poco su questo altare, si consegna incessantemente nelle nostre mani, perché noi abbiamo ad accoglierlo e a portarlo ai nostri fratelli. Riconciliati dall’Amore, nutriti di Cristo stesso, non possiamo non essere missionari, non possiamo non sentire il fuoco dello Spirito Santo che ci spinge verso i fratelli e le sorelle, desiderando che anch’essi conoscano l’Amore di Dio: Lo conoscano, Lo amino e Lo servano. Penso che l’esperienza del “monastero Wi-Fi”, nata per sostenervi nel cammino, raggiunga la sua pienezza proprio nello zelo missionario e di apostolato che vi caratterizza e che speriamo si dilati sempre più, perché Dio solo sa quanto la Chiesa, in questo nostro tempo, ne abbia struggente bisogno. Bisogno di ricentrare tutto in Cristo! E’ dal primato di Cristo che deriva la autentica promozione dell’uomo.
Concludo con un’immagine, una “consegna” che mi sta particolarmente a cuore, che mi commuove e che Gesù certamente aveva in mente, parlando profeticamente della Croce ai suoi Apostoli.
Maria Santissima, che ricordiamo come Addolorata, nella dolce memoria liturgica del 15 settembre, viene “consegnata” da Gesù al discepolo amato: Giovanni; e Giovanni è consegnato a Maria, nello stupendo dittico: “Donna, ecco tuo figlio”, “figlio, ecco tua Madre” (Gv 19,26-27).
La consegna del Figlio dell’uomo, nelle mani degli uomini, include la consegna della Madre alla nostra accoglienza e l’affidamento di ciascuno di noi alla Santa Vergine, Madre di Dio, Madre di Colui che si è consegnato. Dobbiamo poter dire, in verità, con tutto il cuore, “Totus tuus ego sum Maria et omnia mea tua sunt”
In ogni confessione, ci consegniamo al Dio misericordia, che si è consegnato a noi.
Siamo così riconsegnati a noi stessi, alla Chiesa, ai fratelli e alle sorelle, attraverso la ri-creazione della misericordia, e siamo sempre consegnati ad una tenerissima Madre, che instancabilmente ci accompagna, sostiene ed avvolge, con il suo candido manto, del quale noi siamo chiamati ad essere fulgido ricamo.
Potrebbe interessarti anche