Il popolo ha deciso per un secco, netto «No»: la bozza di Costituzione che era stata messa a punto da una Assemblea costituente formata da 155 membri in ben un anno di lavoro, e che era stata catalogata dagli analisti quale «la più avanzata al mondo», è stata sonoramente bocciata nel referendum cui sono stati chiamati domenica 4 settembre i cittadini cileni. È questo quanto emerge dai dati diffusi dal Servizio elettorale cileno: con una partecipazione al voto obbligatoria, e che quindi ha visto la gran parte degli aventi diritto (circa 15 milioni) recarsi alle urne, la percentuale di quanti hanno scelto per l’apruebo si è fermata attorno al 38%.
Il fronte del rechazo, di quanti hanno optato per un rigetto della novità, dai media identificati quali afferenti a un orientamento di centro-destra, ha quindi vinto in maniera schiacciante. Il che era stato in qualche modo ventilato dai sondaggi nelle settimane scorse, ma di certo nessuno si era immaginato un risultato così netto. Tanto che il presidente Gabriel Boric è già dovuto correre ai ripari e convocare tutti i leader di partito cileni per provare a definire come proseguire nell’intento di dare vita a un testo differente rispetto a quello ad oggi vigente e risalente, seppur in parte emendato, al 1980, sotto la dittatura di Augusto Pinochet. Nelle stesse ore, di contro, il “Comitato del no” non ha di certo perso tempo nel festeggiare il «gesto di saggezza da parte dei cileni» e la «sonora lezione per l’ala più radicale di sinistra e comunista».
PERICOLO SCAMPATO
Questa decisione dei cileni è fonte di speranza, in quanto costituisce un pericolo scampato. Per il momento, quantomeno. Infatti, come rivelava anche la dicitura di «più avanzata al mondo», quella che voleva essere la “nuova Costituzione” cilena nei fatti andava a costituire una sorta di sdoganamento di tutti quei temi di bioetica e morale che ricadono nell’alveo dei valori non negoziabili: da un’apertura all’aborto, andando a ledere il diritto/dovere di educazione da parte dei genitori, spolverando il tutto con un po’ di ideologia gender, per concludere con la «morte dignitosa».
In gioco c’erano quindi temi di importanza capitale per la società, in sé anche direttamente contrari all’insegnamento cattolico, oltre che alla dignità stessa della persona. Tanto che la Chiesa non si era tirata indietro nell’esprimere un netto giudizio di condanna della “nuova Costituzione”: dalla nota di fine agosto a firma del Comitato Permanente della Conferenza episcopale cilena, passando per le dichiarazioni del vescovo di San Bernardo Juan Ignacio González Errázuriz, del vescovo della diocesi di Villarica Francisco Javier Stegmeier e di molti altri esponenti cattolici, consacrati o meno.
Nella serata di domenica, inoltre, a spoglio non ancora concluso ma con i dati oramai chiari, il vescovo di Iquique, Isauro Covili Linfati, si era fatto firmatario di una nota dal titolo “Il popolo di Dio ha parlato”, nella quale annotava quello che a suo avviso è mancato nelle fasi preparatorie della “nuova Costituzione”: «Quando nell’elaborazione di un testo che dovrebbe suscitare l’unità della nostra Nazione», ha scritto infatti, «importanti istituzioni della nostra storia e della nostra vita non sono accolte o ascoltate nei loro contributi -mi riferisco con questo alle Chiese, tra cui i Vescovi della Chiesa cattolica -, e dove una minoranza cerca di imporre la sua visione e la sua volontà, è normale che il testo che, pur avendo ottimi temi, non fosse destinato a non essere accolto dalla maggioranza, soprattutto per aver introdotto l’aborto libero e l’eutanasia».
Questo non significa, ha quindi chiosato, «restare con l’attuale testo costituzionale», ma è necessario ragionare coralmente per dare vita a un testo migliore, capace di integrare le varie anime del popolo cileno, «lavorando insieme nella ricerca di accordi, aperture di pensiero, nel valore e rispetto di ogni persona».
VITTORIA DELLA RAGIONE
Certamente, pur rilevando che in Cile circa il 70% della popolazione si dichiara cattolico, appare inadeguato – non in sé scorretto! – etichettare l’esito di questa votazione come una “vittoria dei cattolici”. Inadeguato semplicemente in quanto rischia di far scivolare lo sguardo di quanti sono critici verso la religione in un’interpretazione tacciata da una sorta di “fanatismo ideologico”, alla stregua di tanti altri -ismi con i quali siamo oggi alle prese, a diversi livelli. È quindi meglio dire che a vincere in Cile è stata anzitutto la ragione: una ragione rettamente intesa, che pone le proprie basi sulla legge naturale. E che proprio in quanto tale, in ottica cristiana, va a braccetto con la fede. Perché, naturalmente, anche la preghiera e la fiducia nella provvidenza misericordiosa di Dio hanno il loro bel peso nell’influenzare le sorti della società.
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