«El verano también es nuestro» («L’estate è anche nostra»), questa la nuova campagna femminista all’insegna del body positive voluta dal ministro per l’Uguaglianza Irene Montero con la collaborazione dell’Instituto de las Mujeres di Antonia Morillas. La campagna lanciata sui social vorrebbe incoraggiare le donne di qualsiasi taglia e forma fisica a godersi la spiaggia.
La foto promozionale mostra cinque donne di diverse etnie e forme, ce n’è per tutte: sovrappeso, magre, con i pelli sotto alle ascelle (pare che adesso vada di moda) e anche in topless con i segni di una mastectomia. «L’estate è anche la nostra. Goditela come, dove e con chi vuoi. Oggi brindiamo a un’estate per tutti, senza stereotipi e senza violenza estetica contro il nostro corpo», scrive in un tweet la Montero. «Tutti i corpi sono corpi da spiaggia» e ancora «Tutti i corpi sono validi e abbiamo il diritto di goderci la vita così com’è, senza sensi di colpa o vergogna. L’estate è per tutti!».
La campagna vuole combattere quelle che sono le aspettative fisiche sul corpo della donna che avrebbero causato disistima verso la propria persona e diritti negati. E se da un lato ha ricevuto applausi, dall’altro dimostra che ha fatto un grosso buco nell’acqua. I social rendono manifesto quello che agli occhi della Montero forse non è apparso significante. «Mi rattrista pensare a qualcuno che soffra di disturbi alimentari e guardi questa pubblicità», «Onestamente, questa campagna aiuta a combattere il problema?», solo alcuni dei tweet. Poi spicca tra tutti il commento di un uomo: «Perché si deve sempre creare divisione? Anche gli uomini grassi dovrebbero apparire sul poster». «Il costo di questa campagna pubblicitaria sarebbe speso meglio per l’istruzione o la salute», conclude un altro utente in un tweet. Fa eco un altro commento in negativo direttamente dal leader di sinistra Cayo Lara che ha affermato che la campagna è assurda e ha cercato di «creare un problema dove non esiste».
Insomma, la Monero non ha fatto esattamente centro. E anche gli acritici che inneggiano al body positive sembrano rendersi conto che slogan e immagini servono a ben poco. Che sono forzate, che il succo del discorso è un altro. Che l’amore verso se stessi non si sposa bene né con uno slogan, né con una foto. Alla corsa verso l’inclusività c’è sempre qualcuno che si sente tagliato fuori. E mentre rimbalzano sui social corpi curvy accanto ai corpi perfetti delle influencer non si può nascondere che questo entusiasmo verso il fisico non fa altro che affibbiare altre etichette. E lungi dal disdegnare un’accettazione del corpo come sempre utile, bello e degno, c’è qualcosa che non torna. Curioso che a un giovane che non accetta il proprio genere si dica di cambiarlo con grande facilità, ma guai a toccare cellulite, denti storti o rotolini. Ed è altrettanto curioso che si parli di “violenza” senza considerare che è violenza anche vedere il corpo al pari di una merce.
La verità è che è sempre un solo tipo di corpo a essere messo al centro. Un corpo spogliato dell’anima che lascia vuoti immensi in chi lo indossa. Le domande inespresse dietro ai tweet sono numerose e trovano risposta solo in una teologia del corpo che lo abbracci nella sua totalità e dignità. Il nostro corpo è stato pensato da Dio, unico e irripetibile come dono per noi stessi e per l’altro. Ed ecco che prendersene cura va al di là delle forme e non può riguardare una visione che escluda la mascolinità e la femminilità come espressione primaria del nostro corpo. Senza questa prospettiva sono possibili solo risposte parziali, slogan vuoti e campagne di sensibilizzazione che alla gente…vanno troppo strette.
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