«A causa dell’ingresso di grandi sponsor sulla scena del calcio, sembra che il denaro abbia spostato i pali delle porte». Lo diceva il Vecio, Enzo Bearzot, l’allenatore friulano che quarant’anni fa fece gioire con i suoi “figli” l’Italia intera per la vittoria del Mundial, il Campionato mondiale di calcio giocato e vinto in Spagna dagli azzurri con una cavalcata irripetibile. Lui, il Vecio, le porte sapeva benissimo dove stavano, un uomo silenzioso che mai scendeva a patti con la sua coscienza fondata su valori semplici e sempiterni.
Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani. È la poesia che noi bambini nel 1982 abbiamo imparato in fretta, come un’ode al dio palla che si cominciava a calciare nei campetti di periferia. La memorabile festa dell’11 luglio 1982, magari vissuta in faccia ai turisti tedeschi, molti allora, venuti a bagnarsi i piedi in Riviera e finalmente vinti in quella magica notte del Bernabeu. Nessuna vittoria come quella, né il 2006, né il pur bello Europeo 2021.
Quella vittoria al Mundial veniva dopo l’ultima che risaliva al 1938, un vita, e arrivò improvvisa e inaspettata. Così l’Italia diventava tre volte campione come il Brasile, e così l’Italia che usciva dagli anni di piombo e dall’austerity si riscopriva capace di gioire. Davanti c’erano gli anni Ottanta, favolosi e frivoli, con addosso tanta voglia di vivere, quella che poi sembra essersi smarrita.
Fu un «miracolo» ha detto qualcuno, certamente una grande impresa sportiva, assaporata da un popolo intero non ancora ubriacato dalla Milano da bere. Di certo ubriaco non lo era Enzo Bearzot. «Papà», ha ricordato tempo fa la figlia, Cinzia Bearzot, «era di solida formazione cattolica, cresciuto alla scuola dei salesiani. Era credente e amava spesso ricordare frasi del Vangelo».
Nel 1986 convocò l’allora diciannovenne Roberto Mancini per una tournée della nazionale azzurra negli Sati Uniti. Il giovane, insieme ai due senatori Tardelli e Gentile, fece le ore piccole in discoteca e il giorno dopo, parole sue, subì in silenzio «il peggior cazziatone della mia vita». Me ne disse «di tutti i colori», continua l’attuale ct della nazionale, aggiungendo «che non aveva dormito per la preoccupazione, che mi ero comportato come un somaro, che non mi avrebbe chiamato mai più, nemmeno se avessi segnato 40 gol a campionato». E così fece. Il motivo? Lo racconterà lo stesso Vecio nella sua autobiografia, anni dopo: «Mancini se ne era fregato di me non tanto come persona quanto della responsabilità che portavo».
Molti si chiedono se una vittoria così bella, imprevista e epocale, come quella del 1982 possa oggi ripetersi. Di certo altri hanno vinto e altri vinceranno, ma il segreto del «miracolo» del 1982 è tutto in Enzo Bearzot, in quella generazione di uomini che sapeva dove stavano ben piantati i pali delle porte.
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