Se il padre politico della sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization – con cui la Corte Suprema americana la settimana scorsa ha negato che esista un diritto costituzionale all’aborto – è senza dubbio Donald Trump, che ha nominato quei giudici conservatori, ultima Amy Coney Barrett, autori dello storico pronunciamento, va però aggiunta anche un’altra cosa. L’annullamento del verdetto Roe v. Wade ha pure un padre giuridico: é il giudice Antonin Scalia (1936–2016). Come può essere lui l’artefice d’una sentenza arrivata oltre sei anni dopo la sua morte? Semplice: Scalia ha fatto scuola.
Sì, perché il giudice conservatore nominato alla Corte Suprema dal Presidente Reagan, si è di fatto imposto come capostipite di un approccio – il «testualismo» o «originalismo» – che, come notato da Giovanna Razzano, Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università La Sapienza di Roma, chiaramente «si intravede sullo sfondo» della sentenza della settimana scorsa, e che consiste nel «ricercare il significato della disposizione così come inteso al momento in cui fu adottata dai costituenti o dai legislatori», nel convincimento che sia «precluso al giudice, in base al principio democratico, riscrivere la Carta fondamentale sulla base delle sue opinioni individuali sul giusto e sul vero».
In effetti, già nella cosiddetta bozza Alito della sentenza del 24 giugno – bozza diffusa settimane or sono dal sito Politico – si afferma, nota sempre Razzano, che, «nel valutare quali libertà rientrino sotto la protezione del Quattordicesimo Emendamento, i giudici costituzionali debbono guardarsi dalla naturale tendenza umana a confondere quello che l’Emendamento effettivamente garantisce con ciò che è invece l’ardente desiderio di ognuno circa la libertà di cui gli americani dovrebbero godere». Ecco, questa è la visione di Scalia, che peraltro è stato pure il maestro della già citata Amy Barrett. D’accordo, ma chi era davvero questo giudice, che si può ritenere il padre nobile dell’abolizione della Roe v. Wade?
Ovviamente, è difficile condensare in poche battute una figura di fatto leggendaria; ma qualcosa si può ricordare. Cattolico, ebbe nove figli ed era un giurista consapevole di appartenere ad una minoranza della dottrina giuridica. Una minoranza così piccola, ebbe a dire una volta, «che se prendi un cannone e spari contro qualsiasi scuola di legge importante, non colpiresti un “testualista”». Va inoltre aggiunto che il grande merito di questo giurista – figlio d’un migrante siciliano – è stato quello di tenere dritta la barra di certi valori anche quando egli era in chiara minoranza all’interno della Corte Suprema.
Basti pensare a quando Scalia, in occasione della sentenza sulle nozze omosessuali del 2015, si presentò da Obama con un cappello simile a quello che indossava san Tommaso Moro (1478–1535): non perché il giudice, evidentemente, temesse la decapitazione o volesse esorcizzarne il rischio, ma perché come il cancelliere di re Enrico VIII – a prescindere alla sentenza emessa – era uomo che, in quanto cristiano, aveva già perso la testa per qualcosa di molto importante: la verità. Quella volta, opponendosi matrimonio arcobaleno, Scalia era come si diceva in minoranza; mentre giorni fa ha ispirato i suoi eredi nella battaglia decisiva: quella contro l’aborto. Rivincita migliore il Cielo non poteva dargli.
Abbonati alla rivista..c’è lo sconto!
Potrebbe interessarti anche