Dopo i gessetti colorati con cui scrivere per terra sulle note di Imagine per contrastare il terrorismo, dopo il condizionatore spento per la pace in Ucraina, arriva la pedalata nudi per proteggere l’ambiente.
Qualche giorno fa, a Londra, migliaia di persone completamente spogliate, o comunque ben poco vestite, hanno preso parte alla “World Naked Bike Ride 2022” letteralmente “biciclettata mondiale nuda 2022”, che si presenta come una protesta contro la “dipendenza dal petrolio del mondo Occidentale”, la cultura dell’automobile, l’inquinamento selvaggio e a sostegno dell’utilizzo di fondi alternative nonché per la libertà del corpo e i diritti dei ciclisti.
Di tutto un po’ insomma, basta presentarsi senza vestiti. In rete sono state subito riversate le immagini di donne che pedalano per le vie della city con le grazie al vento, uomini che sfidano il caldo e altri effetti molto poco piacevoli della fisica cavalcando senza mutande selle di ogni materiale e dimensione, gruppi più o meno numerosi che hanno deciso di spogliarsi del pudore seriamente convinti che questo possa in chissà quale modo fare bene al pianeta.
Molte persone si sono presentate completamente nude ma indossano le ciabatte, altre pedalano come mamma li ha fatti (magari un filo invecchiati) ma con la mascherina, nel caso il Covid si scopra amante del nudismo, qualcuno ancora è nudo ma si compre totalmente il volto, forse per non rendersi riconoscibile o forse per farsi notare ancora di più. L’effetto ovviamente è – nella migliore delle ipotesi – grottesco. Eppure c’è chi ci crede davvero poiché la manifestazione, nata nel 2004, si svolge in diverse città del mondo all’inizio dell’estate e vede la partecipazione di migliaia di persone. Segno che il numero non è segno di buon senso e nemmeno di ragione.
D’altra parte il nudo non passa mai di moda, e periodicamente c’è chi lo sceglie per qualche non meglio precisata “protesta”. Come la donna che qualche giorno fa, completamente spogliata, ha interrotto la messa nella parrocchia di St. Veronica a Eastpointe, nel Michigan, a circa 20 minuti di auto a nord di Detroit. La signora ha ben pensato anche di riprendersi mentre faceva irruzione in chiesa gridando cori a favore dell’aborto. Insieme a lei altre due donne mostravano striscioni di stoffa verde simili a bandane che vengono spesso usati dagli attivisti del gruppo pro-aborto Rise Up 4 Abortion Rights.
Si tratta solo dell’ultima provocazione che prende di mira le chiese cattoliche negli Stati Uniti, soprattutto da quando una bozza di parere trapelata in un caso di aborto Mississpi ha suggerito che la maggioranza conservatrice della Corte Suprema degli Stati Uniti è pronta a ribaltare lo storico 1973 Roe v. Wade. La sentenza è attesa per fine giugno e lo scorso lunedì due vescovi statunitensi hanno chiesto ufficialmente un intervento del Governo.
Si tratta del cardinale Timothy Dolan di New York e dell’arcivescovo William E. Lori di Baltimora: «Dalla divulgazione della bozza di parere in Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, gli enti di beneficenza che sostengono le madri incinte bisognose e le organizzazioni pro-vita sono state attaccate quasi quotidianamente, e persino le vite dei giudici della Corte Suprema sono state direttamente minacciate».
Il nudo quindi, oltre a non sconvolgere più nessuno, non provoca nemmeno più, non fa nemmeno notizia più di tanto, rimane relegato ad una notiziola di quarta categoria. Ma resta il segno chiaro di un’avversione al cristianesimo che non passa mai di moda e suscita soltanto la stessa pena.
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