I liberal americani sono nuovamente in preda ad una crisi di nervi. Dopo il colpo subito dall’acquisto di Twitter da parte di un magnate tifoso della libertà di parola (al quale Biden ha risposto con un orwelliano “Ministero della Verità”) è arrivato il colpo più duro: la Corte Suprema americana sembra intenzionata ad annullare la storica sentenza Roe v. Wade, tornando a dare al popolo, attraverso i parlamenti dei singoli Stati, il potere di darsi le leggi che desiderano in tema di aborto.
Che ciò non appaia molto accettabile ad un certo mondo, lo si può intuire facilmente dalle recinzioni alte e robuste che in questi giorni vengono fissate intorno all’edificio che ospita la Corte Suprema. Le proteste degli abortisti stanno divampando in tutti gli Usa. Sono sempre più i luoghi di culto deturpati (l’ultima è una chiesa di Boulder, in Colorado) mentre si è già arrivati al ferimento di poliziotti, è successo negli scontri di giovedì scorso a Los Angeles.
PUNTARE LE CASE DEI «GIUDICI ESTREMISTI»
Non solo. Descrivendo i giudici della Corte Suprema come «sei estremisti», di cui «tre sono in Virginia e tre nel Maryland», l’organizzazione Ruth Sent Us ha pubblicato una mappa con gli indirizzi di casa dei sei giudici conservatori della corte: Amy Coney Barrett, John Roberts, Samuel Alito, Brett Kavanaugh, Clarence Thomas e Neil Gorsuch.
L’organizzazione (il cui nome dovrebbe suonare come un omaggio a Ruth Bader Ginzburg, giudice della Corte Suprema scomparsa nel 2020) invita alla protesta di piazza, e tramite Instagram, Twitter e TikTok (su cui raccomanda di taggare per potenziere gli sforzi), ha fatto sapere che l’11 maggio marcerà davanti alle abitazioni dei giudici della Corte.
Ma se di fronte ai minacciosi piani degli attivisti pro-choice alcuni senatori si sono precipitati a presentare un disegno di legge per rafforzare la presenza della polizia a difesa dei giudici e delle loro famiglie, paradossalmente la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki è riuscita a rifiutare ogni condanna. Gli attivisti che punteranno direttamente le case dei giudici non creeranno «alcuna violenza». Anzi, Psaki afferma che parlando di loro «si rischia di perdere di vista il punto della questione», e cioè che «la gente protesta perché è preoccupata per i diritti, è infelice e ha paura».
L’URLO DI KAMALA: «COME OSANO!»
La violenza nelle strade è aizzata proprio da quei politici a cui si richiederebbe cautela. Lo scorso mercoledì, parlando ad una serata di gala dell’associazione pro-choice Emily’s List, Kamala Harris, visibilmente agitata, ha detto con tono di sfida che «i diritti delle donne sono sotto attacco». Per concludere poi – in un crescendo retorico che ha fatto il giro delle tv americane – con queste parole: «Come osano! Come osano dire a una donna cosa può fare con il proprio corpo! Come osano cercare di impedirle di determinare il proprio futuro! Come osano provare a negare alle donne i loro diritti e le loro libertà!».
BIDEN NELLA CRISTALLERIA
Il Presidente Joe Biden, già solitamente incline alle gaffe, intorno alla delicata questione del parere della Corte Suprema ne ha inanellate diverse, alzando il livello di guardia dei liberal e facendo arrabbiare Whoopi Goldberg, che lo ha sprezzantemente indicato come «cattolico romano che non crede nell’aborto» ma che «è il presidente di tutti gli Stati Uniti e quindi governa come presidente, e va bene così». Ovviamente nulla nella politica di Biden è a favore della vita, ma le sue uscite possono risultare devastanti per un’ortodossia progressista attenta a coprire ogni spicchio di realtà. Sta di fatto che il presidente Usa, in preda ad un lapsus rivelatore, ha prima usato la parola innominabile: bambino («l’idea che stiamo per avere una sentenza che prevede che nessuno possa scegliere di abortire un bambino…»). Poi, in un discorso che molti hanno trovato particolarmente tortuoso, Biden ha rivendicato di avere dei diritti «non perché il governo me li ha dati, ma perché sono un figlio di Dio, perché esisto», dimenticando il fatto che stesse parlando a favore del diritto di aborto (per cui sulla vita di esseri che esistono). Non pago, ha tentato infine di alzare di molto l’asticella, affermando che se la sentenza Roe v. Wade venisse ribaltata, altri diritti sarebbero a rischio, come «la contraccezione e le nozze gay». Peccato che l’ipotesi – che senza mezzi termini è stata bollata dal Wall Street Journal come «campagna di disinformazione» – era stata già puntualmente (e preventivamente) smentita dal giudice Samul Alito nell’ormai nota bozza di parere.
BOOM DI NATI
La paura dei democratici è palpabile. Anche perché se la Corte Suprema ribaltasse la sentenza, potrebbero essere addirittura 26 gli Stati che «certamente o molto probabilmente si muoverebbero per vietare l’aborto». La stima proviene dall’influente Guttmacher Institute, gruppo di ricerca di area liberal che da anni studia il fenomeno. Di contro, rispetto alle analisi dell’Istituto, che con tono lacrimevole raccontano quanta strada dovrebbe percorrere una donna che volesse abortire per raggiungere un ospedale disponibile, le politiche statali si tradurrebbero in centinaia di migliaia di bambini a cui sarebbe salvata la vita. Recentemente, un gruppo di 154 economisti e ricercatori ha stimato che il numero di aborti, solo nel primo anno, diminuirebbe di circa 120.000 unità, per continuare a diminuire in misura ancora maggiore negli anni successivi.
«L’ABORTO È UNA RELIGIONE»
«L’aborto è una religione per l’estrema sinistra, e sono disposti a fare qualsiasi cosa per difenderla». Così ha risposto il senatore Josh Hawley all’anchorman Tucker Carlson, il quale gli chiedeva se l’escalation di violenza degli attivisti pro-aborto potesse diventare pericolosa per l’intero Paese.
A sostegno della sua tesi, Hawley ha ricordato come il leader dei democratici al Senato, Chuck Schumer, sia arrivato a minacciare per nome due giudici della Corte Suprema. Giorni fa, davanti a una folla abortista, Schumer ha gridato parole di fuoco: «Voglio dirti, Gorsuch, voglio dirti, Kavanaugh, che hai liberato il vortice e ne pagherai il prezzo! Non sai cosa ti capiterà se proseguirai in queste terribili decisioni». Malgrado il diluvio di critiche piovute addosso a Chuck Schumer, malgrado il giudice John Roberts abbia definito “pericolose” quelle parole, il potente senatore dem non si è scusato.
SE LA CORTE TIENE BOTTA
Per conoscere il vero orientamento della Corte Suprema bisognerà aspettare la fine di giugno o, più probabilmente, l’inizio di luglio. Intanto, cosa insolita, la Corte ha replicato alle anticipazioni di Politico trapelate lunedì scorso facendo intendere che le cose non cambieranno, malgrado la campagna di destabilizzazione. «Se il tradimento delle questioni confidenziali interne alla Corte aveva lo scopo di minare l’integrità delle nostre operazioni», ha coraggiosamente affermato John Roberts, il giudice che presiede la Corte Suprema, «esso non avrà successo: il lavoro della Corte non sarà in alcun modo pregiudicato».