É stata elevata ad emblema della lotta contro il patriarcato, la donna che, con il suo esempio, a detta di alcuni, starebbe contribuendo a ribaltare i ruoli di genere, Samantha Cristoforetti, la prima italiana a viaggiare nello spazio la quale, in orbita per la sua seconda missione, lascia i figli piccolissimi Kelsi Amel, 5 anni e Dorian Lev un anno, per ben 5 mesi con il loro papà, Lionel Ferra, ingegnere francese, addestratore di astronauti.
Per l’occasione, non poteva né mancare né tantomeno tardare a dare il suo appoggio alla “causa” della Cristoforetti, la ex presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini, che su Twitter ha subito cinguettato: «In bocca al lupo a #SamanthaCristoforetti per la nuova avventura nello Spazio. Desolanti le domande su chi si occuperà dei figli in sua assenza: perché non viene chiesta la stessa cosa ai colleghi? Ancora tanti, troppi retaggi del patriarcato».
Il riferimento della Boldrini è alle ovvie domande ricorrenti, nelle interviste dei mesi di preparazione alla nuova missione. Perché, per quanto ci si sforzi di farla passare come tale, evidentemente, non è proprio la cosa più normale del mondo per un bambino piccolissimo non poter più vedere ex abrupto, la propria madre per quasi mezzo anno, accontentandosi dei bei discorsi del papà sulla gloriosa missione della mamma che dubitiamo catturino davvero l’interesse del bambino o servano a colmare quel non piccolo vuoto che, evidentemente, l’assenza della madre, nel frattempo gli avrà scavato dentro.
Non solo, per quanto possa sembrare coraggiosa la decisione dell’astronauta trentina, ritratta su tutti i giornali, mentre dà l’addio ai figli e al marito con la tuta spaziale, pronta ad andare in missione, di certo non può oscurare l’ancora più ardito coraggio delle tante, tantissime donne che per una causa molto meno “illustre” sono costrette a prendere, non la navicella spaziale, ma magari l’autobus, per recarsi ogni mattina al lavoro e spesso tutti i giorni, a volte anche la domenica, in alcuni casi anche con turni di lavoro massacranti, lasciando a casa anch’esse i figli.
Ma queste ultime non fanno notizia, perché la vera discriminazione e la vera, questa sì “maschilista” ipocrisia, consiste proprio nell’ignorare, volutamente, queste situazioni di vita quotidiana che, evidentemente, agli occhi del jet set contano poco o nulla e non vanno nemmeno citate sui social.
Per questo, passa in secondo piano persino la cosa più evidente di questa storia e cioè che nel caso della Cristoferetti si è trattata di una scelta libera. Nel caso della maggior parte delle donne lavoratrici, invece, la scelta è obbligata e, per questo, davvero sofferta.
Motivo per cui non riusciamo proprio a capire né a scorgere in quale modo la decisione dell’astronauta trentina avrebbe – a differenza di quanto raccontato dai giornaloni – una portata tale da portare a rivoluzionare i rapporti tra i due sessi, accelerando addirittura il processo verso il raggiungimento della parità di genere. La realtà a cui le menti dei progressisti non si degnano nemmeno di volgere lo sguardo, infatti, è ben altra cosa. E tale rimane.
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