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Luigi Pierobon, «Dante»: ecco come muore un partigiano cristiano
NEWS 25 Aprile 2022    di Redazione

Luigi Pierobon, «Dante»: ecco come muore un partigiano cristiano

Grande fu il contributo che italiani e italiane animati dalla fede cristiana hanno dato alla Resistenza tra il 1943 e il 1945. Lo testimoniano le storie raccontate da Alberto Leoni e Stefano R. Contini nel libro Partigiani cristiani nella Resistenza. La storia ritrovata (Ares, pag. 536, € 25,00). Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo uno stralcio del libro riferito alla vicenda di Luigi Pierobon, nome di battaglia «Dante»

di Alberto Leoni e Stefano R. Contini

Per raccontare di Luigi Pierobon bisogna partire dalla fine della sua vita e cioè dalla sua ultima lettera ai genitori, rac­chiusa in quel volume della editrice Einaudi che ha segnato intere generazioni di giovani: Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana. Un volume che era il livre de chevet dei brigatisti rossi (così almeno viene mostrato nel capolavoro di Marco Bellocchio Buongiorno, notte, film del 2003) e c’è da chiedersi che cosa abbiano capito i terroristi di testimonianze come quella di Pierobon. Gli autori di que­sto volume possono però ricordare il contraccolpo subìto dalla lettura di queste righe e come anche esse abbiano de­terminato la volontà di iniziare e portare a termine la presen­te opera:

 

«A mamma e papà nell’ultimo momen­to un bacio caro, tanto caro. Ho appe­na fatto la S.S. Comunione. Muoio tranquillo. Il Signore mi accolga fra i suoi in cielo. È l’unico augurio e più bello che mi faccio. Pregate per me.

Saluto tutti i fratelli, Paolo, Giorgio, Fernanda, Giovanni, Alberto, Giulia­na, Sandra, lo Zio Giovanni, tutti gli zii e zie. Un bacio a tutti.

Il Padre qui presente, che mi assiste, vi dirà i miei ultimi desideri.

Un bacio caro.

Luigi Pierobon»

 

Il lettore comprenderà come, dopo questa lettura, certe polemiche sulla Resistenza vadano, come minimo, conte­stualizzate e contenute: e tutto questo volume tende a dimo­strare che il desiderio di bene per tutti non fu patrimonio di casi isolati, bensì fu dominante in gran parte di coloro che militarono nella Resistenza antifascista.

Luigi Pierobon era nato a Cittadella nel 1922, primoge­nito degli otto figli di Giuseppe e Maria Simioni. Una fami­glia di modeste condizioni, ma che sacrificò tutto per l’edu­cazione dei figli. Luigi, terminato il ginnasio dai salesiani, si iscrisse al liceo classico Tito Livio di Padova e iniziò a partecipare alle riunioni di Azione cattolica. Proprio su Tito Livio era la tesi con la quale si sarebbe dovuto laureare in lettere, se nel febbraio del 1943 non fosse stato richiamato alle armi.

Per Luigi la vita sotto le armi non fu facile: troppa immo­ralità, troppe bestemmie dei suoi compagni d’arme lo turba­vano. Il 23 febbraio scriveva, dopo una messa al campo or­ganizzata in modo disastroso:

«Ho ripensato alle care messe fucine [della Fuci]. […] Ho pre­gato con fede e trasporto, nonostante tutto. E mi sforzo di pre­gare il più possibile: alla sera il Rosario; al mattino una sem­plice offerta di tutti i passi e le corse della giornata, dell’annul­lamento della nostra personalità, di tutte le sofferenze fisiche e morali, in espiazione di tante offese, di tante bestemmie che devo udire e a cui non si può reagire».

Eppure, a distanza soltanto di un mese, riuscì a costitui­re un gruppo di giovani cattolici che erano di testimonian­za ai commilitoni.

«Punto fondamentale del nostro programma è che tutte le nostre relazioni devono svolgersi in caserma: qui dobbiamo vivere: qui è il nostro campo di attività. Studieremo assieme le armi, i regolamenti ecc. ci troveremo dopo i ranci; cercheremo soprat­tutto che altri siano partecipi della nostra amicizia, anzi, della nostra fraternità».

Il 5 aprile 1943 Pierobon superò il corso Allievi ufficiali; pochi mesi dopo, arrivò l’armistizio. Si trovava a Pisa e ritor­nò a Padova per completare gli studi: evidentemente la lotta contro il nazifascismo non era il suo primo interesse, ma fu costretto a scegliere: aderire alla Repubblica sociale o entrare nella Resistenza. Passato alla clandestinità, il suo nome di bat­taglia fu «Dante» e ben presto si fece notare per intraprenden­za e dinamismo, tanto da diventare comandante del battaglio­ne «Stella» in una brigata Garibaldi. Pierobon non ebbe con­trasti con il Partito comunista del quale, anzi, lodò l’efficienza e l’imparzialità. «Perfettamente ligio al Comitato di liberazio­ne nazionale» scriveva allo zio sacerdote, «assegna posti di responsabilità a tutti, purché di buona volontà».

Ciò nonostante, egli sottolineò allo stesso tempo «l’im­pressione, e molte volte, la certezza, che il lavoro anti-tedesco che adesso esplica questo partito abbia un secondo fine: avere subito, a fine guerra, delle forze in mano e non delle sole armi, per una rivoluzione vera e propria». A riprova del ruolo di gui­da della sua formazione, sottolineò anche come la «tentazione di lasciare la montagna» dovesse forzatamente scontrarsi con il sentimento verso i suoi uomini: «Il battaglione si sfascereb­be se me ne andassi: per questo sono rimasto». […]

Carismatico e puro di cuore, Pierobon veniva chiamato «il santo» dalla gente della Valle dell’Agno e per questa sua capacità di comando e di attrazione il 15 agosto 1944 venne inviato a Padova a incontrare i rappresentanti del comando regionale e a reclutare altri giovani. Un delatore lo consegnò alla polizia repubblicana e alla morte, dopo le consuete torture.

Proprio in quei giorni veniva ucciso il colonnello Bartolomeo Fronteddu e si scatenò l’usuale rappresaglia fascista. Il 17 agosto Luigi fu condotto nella caserma di Chiesanuova per l’esecuzione. Uscendo dal carcere riconobbe, nella divisa di milite repubblicano, un suo compagno di università e lo abbracciò dicendogli: «Vado alla morte». Davanti al plotone d’esecuzione chiese di essere fucilato al petto, ma gli fu negato. Nessuno poté impedirgli di esclamare all’indirizzo dei fascisti: «Siete servi venduti. Noi moriamo per l’Italia», di stringere il rosario al momento della raffica e di levarlo in alto, in offerta al Signore. In questo, almeno, Luigi fu libero fino in fondo. […]


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