Un sabato santo diverso per Il Timone, perché oggi pomeriggio è morta Rosanna Brichetti Messori. Lei e suo marito Vittorio Messori sono stati per la nostra rivista un po’ come il papà e la mamma, fin dall’origine, fin da quel 1999 quando il nostro fondatore, Gianpaolo Barra, li chiamò piano piano a prender parte all’avventura. Personalmente ho conosciuto Rosanna circa 7 anni fa, quando ho cominciato a lavorare al nostro giornale. Poi, nel settembre 2018, quando ne ho assunto la direzione, ho sentito Rosanna particolarmente vicina, capace davvero di esercitare una maternità. Mi disse: «Per un anno ti donerò una rubrica! Una bella rubrica per ripercorrere il mistero cristiano». La intitolammo “Sto alla porta e busso” e oggi qui ne proponiamo una parte. Un’altra cosa mi colpì di Rosanna, una sua frase detta a tavola: «Non chiudiamo mai le porte alla grazia. Nessuna divisione, nessun ostacolo, nessuna confusione, nulla, può portarci a questo». Cara Rosanna, in questo sabato santo tutta la redazione del Timone ti ricorda nella preghiera, consapevoli che certamente tu hai fatto di tutto per tenere spalancata la porta del cuore al Signore che bussa. E così confidiamo che ora, entrata nell’eternità, tu sia nel Suo abbraccio. (Lorenzo Bertocchi)
di Rosanna Brichetti Messori
Il passaggio dell’Apocalisse che dà il nome a questa rubrica [Sto alla porta e busso] è molto illuminante circa la dinamica che sta alla base della fede cristiana: «Ecco, Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Dio, dunque ci cerca in continuazione, ci propone costantemente il suo amore, è disponibile ad incontrarci in ogni momento. Con discrezione, certo, per rispetto alla nostra libertà. Con un tocco leggero, quale si addice al bussare. Solo raramente spalanca violentemente la porta, con qualche riottoso, che poi spesso impegna in una grande missione. Come Saulo di Tarso, destinato a diventare il grande san Paolo, e che fece salire bruscamente fino “al settimo cielo”, cioè introdusse proprio fin dentro il cuore del Mistero. Di solito, invece, il Cristo attende che siamo noi, dall’interno, ad aprire.
Ha dunque ragione la Chiesa quando sostiene che, sì, la fede è un dono, ma non riservato solo ad alcuni, bensì aperto a tutti. E che molto dipende dalla nostra risposta. «Se qualcuno ascolta la mia voce»: dunque noi possiamo addirittura, distratti da mille cose, neanche udire il richiamo divino. Oppure avvertirlo, ma non ascoltarlo, cioè farci consciamente o inconsciamente sordi. Talvolta troppi sono i legami che ci inchiodano alla terra. Pensiamo anche solo ad alcune tra le moderne ideologie come il marxismo ateo o lo scientismo esacerbato. Il primo che esclude volontariamente Dio dalla vita umana, l’altro che divinizza la scienza e l’eleva ad unico strumento di conoscenza. Chi venga allevato in queste prospettive, faticherà molto, per dare spazio al soprannaturale.
«… E mi apre la porta»: eccoci giunti al secondo passaggio. Che è totalmente in mano nostra perché a questo punto possiamo optare per varie scelte: guardare dallo spioncino per vedere chi ha bussato, ma non aprire. Oppure socchiudere un po’ la porta ma bloccarla, mantenervi appesa la catenella. Oppure iniziare ad aprirla ma di poco; e poi, tappa dopo tappa, aumentarne l’apertura per giungere, infine, a spalancarla. Un procedere più o meno lento che permette a colui che ha bussato almeno di cominciare ad entrare. Forse un colloquiare, che può farsi sempre più profondo e intimo e che ha come metà finale il sedersi a mensa. Quel: «cenerò con lui ed egli con me», che, pur nella sua sintesi estrema, fa già intravedere moltissimo dello scambio possibile di ogni uomo con il suo Signore. Tra cui tutta la potenzialità e la ricchezza, quasi impensabile a mente umana, del mistero eucaristico: un Dio che si fa addirittura cibo per nutrire la sua creatura e infonderle la sua stessa vita.
Credo davvero che poche altre immagini, come questo passo dell’Apocalisse, possano rendere così bene i possibili e diversi passaggi della fede, le sue tappe, il suo grado di profondità. Dalla inesistenza, ad un qualche inizio goffo e incerto, ad una frequentazione sempre un po’ titubante, ma certamente più corposa, fino ad una adesione sempre più piena, che si fa, alla fine, intimità. Tappe che percorreremo, perché riguardano anche ciascuno di noi. Ne mostreremo le caratteristiche, anche per capire a che punto del cammino ci troviamo e magari accorgerci che potremmo mutare passo, al fine di andare un po’ più veloci verso la meta. Una meta che, peraltro, è sempre ampliabile perché infinita, come è infinito Dio e che dunque raggiungeremo davvero solo quando, entrati nell’eternità, lo vedremo finalmente faccia a faccia; quando cessata la fede, resterà solo la carità.