Le disposizioni della CEI consentono la ripresa di alcuni gesti liturgici che segnano in modo significativo le celebrazioni del Triduo Pasquale. Attraverso la ritualità articolata e singolare, di questi giorni santi, il popolo di Dio è accompagnato ad entrare con i sensi nel Mistero della Pasqua. Poter, in qualche modo, tornare a celebrare con tutta o quasi la ricchezza secolare della Liturgia della Chiesa è una Grazia di questo tempo particolare. La celebrazione della Passione è peraltro tra le più suggestive di tutto l’anno liturgico. Questo consente di riscoprire il senso di ogni gesto e restituisce gusto ad ogni segno. In particolare, due sono i tratti che ci consentono di entrare meglio nella Passione di Cristo.
Il primo di questi segni è l’altare spoglio. E’ un impatto visivo molto forte. Il marmo degli altari è nudo. Non ci sono tovaglie, copritovaglie. Non c’è alcun pizzo o drappo, non ci sono fiori, non c’è niente di quella umana cura che rende belle le nostre chiese frutto di tanta delicata devozione. La freddezza dei marmi, i crocifissi velati sono la traccia di una mancanza. Sembra che anche i muri abbiano ricevuto l’annuncio della morte e partecipino muti e silenziosi al lutto del popolo di Dio. La liturgia della Passione prende avvio in modo silenzioso e il celebrante si sdraia al suolo. Tutto precipita dentro il dolore sconvolgente di una scomparsa. Là, dove si celebra l’adorazione perpetua, insieme al sabato Santo, questo è l’unico momento in cui Lui non c’è. La sua presenza è sottratta. E’ una mancanza che si avverte, si vede, si sperimenta anche attraverso il digiuno dal cibo, si tocca…C’è un vuoto incolmabile. Dentro la distrazione di un giorno qualunque, dell’ultimo giorno di lavoro della settimana, dentro all’affanno quotidiano piomba all’improvviso, per un cristiano, un’ora tremenda in cui palpabilmente si registra un’assenza.
E’ morto Gesù, crocifisso. E’ morto sotto Ponzio Pilato, nonostante Pilato non trovasse in quell’uomo alcuna colpa. E’ morto perché non era tollerabile, per gli ebrei, la sua pretesa. E’ morto in mezzo agli sberleffi dei soldati romani e al disprezzo dei capi e degli anziani d’Israele. E’ morto per i nostri peccati. Su quella croce, altare singolare, si consuma il sacrificio dell’agnello. Su quella croce il corpo è inchiodato e il sangue sparso. E’ morto e sepolto, cioè è veramente morto. Colui che era da sempre, pare non esserci più.
Un secondo gesto è il principio di un cambio vertiginoso della stessa liturgia e quindi della verità della nostra fede. E’ il bacio della croce. Le disposizioni non consentono ancora compiutamente questo segno. Il sacerdote dal fondo della chiesa innalza un crocifisso velato e in tre stazioni, progressivamente, lo svela. “Ecco, il legno della croce al quale fu appeso il Cristo, salvatore del mondo. Venite, adoriamo”.
I fedeli processionalmente giungono davanti alla croce e qui compiono un atto di adorazione, facendo davanti ad essa una genuflessione semplice o baciando la croce anche se quest’ultimo atto ancora non è ammesso per le norme che limitano tutta l’espressività liturgica. Nel luogo in cui sono, consiglio di portarsi un crocifisso da casa e di baciarlo al proprio posto.
Cos’è questo atto di venerazione della croce? Cos’è questo bacio?
La morte di Cristo non è soltanto una morte. Una morte che lacera. Una morte che lascia soli. E’ una morte per amore. E’ un atto d’amore con cui Cristo ha pagato l’amore per ciascuno. La morte è dare la vita. Ora, è come se il credente entrato in chiesa, passasse dall’urto della morte, dal silenzio freddo delle pietre, attraverso la lunga lettura del Vangelo, alla comprensione che quella croce è l’amore con cui Cristo ha pagato il suo amore per noi. Ed è allora che il fedele può baciare la croce, può riconoscere in quel crocifisso l’amore con cui lui stesso è amato.
Quel bacio è principio di Resurrezione. Quel gesto non è soltanto tenerezza. Non è solo l’espressione di un sentimento, ma è l’accensione di una speranza. Immediatamente, l’altare viene rivestito e sebbene non ci sia stata la consacrazione, il popolo partecipa del Corpo di Cristo, morto, sepolto, disceso agli inferi, eppure già presente…Un Corpo assente, improvvisamente, vivo. Un corpo morto che rende vivi chi lo riceve.
E’ un bacio che risveglia. E’ un bacio che è una promessa d’amore. Un bacio che il sacerdote a nome del popolo cristiano riprende ad ogni Messa tre volte: all’inizio e alla fine sull’altare del sacrificio e uno sui Vangeli, parola di redenzione.
Un bacio si contrappone al freddo e alla nudità dei marmi. Un bacio è promessa che niente di ciò che hai sofferto va perduto, niente di ciò che ami andrà smarrito, niente di ciò che perdi andrà dimenticato. Un bacio d’amore, un semplice bacio è la maniglia che consente a Dio di aprire le porte del sepolcro di Cristo e dei nostri sepolcri.
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