Un’autodenuncia clamorosa, che sta facendo il giro del mondo, quella del Karolinska Institutet, il maggior centro svedese per la transizione dei minori, che ha pubblicamente ammesso di aver compromesso la salute di tredici ragazzini sottoposti ad un trattamento ormonale con i bloccanti per la pubertà. La clinica in questione, ha, a differenza di altre realtà forse meno trasparenti, voluto confessare la sua responsabilità, in modo particolare, nel riscontro di “gravi lesioni”, alterazioni vertebrali e addirittura di osteoporosi ai danni di una bambina di appena 11 anni, di nome Leo.
Una presa di coscienza e un mea culpa diffusi dalla Sveriges Television, tv di stato svedese, che ha portato, la Karolinska, a stoppare già un anno fa questi trattamenti, nei minori di 16 anni. Un gesto eclatante se si pensa che in questo paese, come confermato dal Consiglio Nazionale della Sanità ed il Benessere, fra il 2008 e il 2018, le diagnosi di disforia di genere sarebbero aumentate del 1.500 per cento nella fascia di età fra i 13 e i 17 anni.
Parliamo di un dato così scandalosamente alto, che portò a bloccare, nell’estate del 2018, la proposta di legge, avanzata dal fronte democratico svedese, che voleva abbassare da 18 a 15 anni l’età minima per accedere ai trattamenti chirurgici per la transizione di genere, senza il consenso dei genitori, e fissare a 12 anni l’età in cui poter cambiare legalmente la propria identità sessuale.
Nonostante ciò, è ancora possibile, in Svezia, come in questo caso, che i minori vengano sottoposti a percorsi di transizione, seppure non chirurgici, ma che iniziano con la somministrazione di ormoni bloccanti della pubertà e continuano con gli ormoni cross-sex, che portano ad assumere i caratteri sessuali secondari del genere in cui ci si identifica.
Nel caso del Karolinska, tuttavia, l’ospedale ha ammesso che alla famiglia non sarebbero state fornite «informazioni sufficienti e chiare sugli effetti collaterali noti del trattamento» e che, così come Leo, almeno altri dodici bambini sarebbero stati danneggiati dalla somministrazione degli ormoni bloccanti.
Uno degli aspetti più scandalosi della questione, riguarda, poi, il ritardo con cui sarebbe stata effettuata la diagnosi. Quasi cinque anni ci sarebbero voluti per attribuire la causa dei dolori fortissimi avvertiti alla schiena e alle gambe da Leo, ai trattamenti subiti, perché nessuno, nel corso della terapia, si sarebbe preoccupato di controllare mai i valori della densità ossea.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che, come ammesso dall’ospedale, nel caso di Leo, la terapia non avrebbe dovuto essere nemmeno iniziata, in quanto nessuno avrebbe preso davvero in considerazione i suoi problemi psichiatrici, i tentativi di suicidio reiterati e nemmeno i suoi continui tentennamenti rispetto al sentirsi un maschio.
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