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3.12.2024

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La guerra e la prospettiva della pace, l’unica via è quella della Chiesa
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11 Marzo 2022

La guerra e la prospettiva della pace, l’unica via è quella della Chiesa

«Ascolta il grido unanime dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, avventura senza ritorno, mai più la guerra spirale di lutti e violenza; mai questa guerra del Golfo Persico, minaccia per le tue creature in cielo, in terra, in mare». Sono parole che Giovanni Paolo II scrisse in una lettera personale rivolta a George Bush sr, presidente degli Usa, il 15 gennaio 1991. Lo fece in un crescendo di appelli per scongiurare la guerra in Iraq, convinto che quell’azione da parte degli Stati Uniti e della Nato avrebbe prodotto solo ulteriori sconvolgimenti in Libia, in Siria, in Israele.

Una posizione netta da parte della diplomazia vaticana in quell’occasione, come è netta oggi la linea sulla questione Ucraina: il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin ha detto, come riporta L’Osservatore romano di ieri 10 marzo 2022, che «è sempre possibile una soluzione se c’è la buona volontà delle parti e la disponibilità a compiere dei compromessi, consapevoli che occorre saper rinunciare anche a qualcosa di importante, se si vuole veramente arrivare al traguardo della pace».

Papa Francesco sta chiaramente investendo la sua autorità morale e la sua diplomazia per questo scopo, e lo fa con il consueto equilibrio dei papi. Wojtyla nei molti interventi sulle guerre che attraversarono il tempo del suo pontificato ha tenuto fermi due principi: 1) condanna della guerra di aggressione e 2) non ha mai nominato gli aggressori verso cui si sarebbe attuato l’intervento “umanitario” (inteso non primariamente come intervento di tipo militare, ma eventualmente per disarmare l’aggressore).

Anche quando i bombardieri Nato scaricavano le loro armi dal cielo dei Balcani per intervenire sulla pulizia etnica in corso in Kosovo, papa Giovanni Paolo II, che pur aveva condannato senza mezzi termini la violenza dei serbi verso i kosovari, disse: «In risposta alla violenza, un’ulteriore violenza non è mai una via futura per uscire da una crisi» (29 marzo 1999). Sulle colonne del giornale del papa di allora apparivano corsivi in cui si parlava del dramma della «duplice guerra, quella che… insanguina il Kosovo e quella cominciata dalla Nato».

Ciò che muove l’azione della Santa Sede durante queste situazioni di guerra, ovviamente, è sempre la prospettiva di salvare quante più vite umane possibili. E oggi è ancora così, anche in Ucraina (lo abbiamo visto anche plasticamente con l’invio sul campo di due cardinali come Konrad Krajewski, polacco, Elemosiniere del Papa, e Michael Czerny, Prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale). E la telefonata, partita dal Vaticano, tra Parolin e il ministro degli esteri russo Lavrov.

In mezzo alle tante valutazioni geopolitiche, militari, e alle talvolta insulse narrazioni, che di colpo abbandonano la fluidità tipica del nostro tempo per diventare manichee, bisogna riconoscere che la via del Papa si prospetta ancora come quella più lungimirante. L’attacco della Russia all’Ucraina nelle sacre stanze è senza dubbio condannato, ma nello stesso tempo è ragionevole pensare che non ci sia condivisione nemmeno per l’invio di armi al governo ucraino del presidente Zelensky, né alle sue insistenti richieste per la no fly zone.

Chi vorrebbe una chiara presa di posizione da parte del Papa contro Vladimir Putin probabilmente rimarrà deluso, come rimase deluso chi chiedeva un pronunciamento più forte di Giovanni Paolo II contro Milošević, soprannominato «Hitler dei Balcani», e un suo schieramento in difesa dei bombardamenti Nato. Per Giovanni Paolo II l’eventuale intervento militare terzo nel conflitto in corso avrebbe dovuto avere un perimetro e delle condizioni precise e comunque non avrebbe mai dovuto causare mali maggiori di quelli già provocati dalla guerra in corso.

Il cardinale Parolin e Papa Francesco sono «disposti a tutto» per la pace, e ciò, ha detto appunto Parolin, è sempre possibile se si è «consapevoli che occorre saper rinunciare anche a qualcosa di importante, se si vuole veramente arrivare al traguardo della pace». Ciò che va fermato subito è il massacro del popolo ucraino e per questo l’Ucraina che è una «linea di faglia tra civiltà occidentale e civiltà orientale ortodossa», come scriveva Samuel Huntington nel suo Lo scontro delle civiltà, deve poter trovare una sua nuova identità di ponte tra Ovest ed Est.

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