Per gentile concessione dell’editore Lindau, il Timone propone un estratto di “Grazie a Dio” (pp.544), il nuovo saggio – da giovedì 24 febbraio in libreria – di Giuliano Guzzo, sociologo, giornalista e firma familiare ai lettori di questo giornale.
Le «guerre di religione»? Una bufala
Ah, se non ci fossero più le religioni. Come sarebbe bello: niente più dogmi, niente più divisioni, niente più scontri, solo pace e fratellanza, armonia e concordia. Ecco, magari con termini meno enfatici, ma quest’idea della religione come elemento di conflitto è decisamente radicata. E non a caso dato che, nel corso del tempo, è stata rilanciata da tanti […].
D’accordo, ma cosa c’è di vero in questo tormentone sulle «guerre di religione»? Meglio dirlo subito, a costo di apparire drastici: pochissimo, per non dire quasi nulla. Lo si può comprendere sulla base di più considerazioni, sia di carattere qualitativo, sia di ordine quantitativo. Iniziando con le prime, quelle qualitative, appare stimolante il contributo di William T. Cavanaugh, docente presso la DePaul University di Chicago e autore di un notevole volume finalizzato proprio a mettere in luce come quello della violenza religiosa, più che un’evidenza, sia un mito.
In sintesi, il pensiero di Cavanaugh è che già parlare di «guerre di religione» sia fuorviante dato che non esiste un concetto transculturale e transtorico di religione; soprattutto, essa non è qualcosa di isolabile da aspetti sociali, economici e politici, con la stessa politica che, talvolta, sposa istanze messianiche o teologiche. Osservazioni simili sono state fatte anche da altri autori. Ne consegue che la pretesa di ritenere la religione un elemento «separabile dai fenomeni secolari» altro non sia che il portato di una precisa «configurazione di potere, quella del moderno stato-liberale come si è sviluppato in Occidente».
Secondo il professore statunitense, l’espressione «guerre di religione» sarebbe dunque da un lato impropria e, dall’altro, funzionale solo a rafforzare l’idea di un Occidente progredito e avanzato, dove i dogmatismi non sono più motivo di scontro […]. Anche perché non vanno sottovalutate tutte quelle volte in cui il credo, più che causa di scontri, è stato il pretesto per alimentare conflitti magari già esplosi che, a ben vedere, grazie all’intervento religioso, potrebbero invece essere superati, con benefici collettivi.
Fa testo, a questo proposito, il contributo spesso fondamentale di attori e leader religiosi in numerosi processi di democratizzazione, cosa che a livello internazionale è stata riscontrata in 48 Paesi tra il 1972 e il 2009 […] Venendo alle obiezioni quantitative all’idea di «guerre di religione», nel momento in cui si guarda quanti davvero siano i conflitti ispirati da idee strettamente religiose si resta sorpresi.
Sì, perché uno studio che ha esaminato 1.763 guerre che hanno insanguinato la storia dell’umanità dal 3.500 a.C. fino ai giorni nostri ha concluso come meno del 7% di esse sia classificabile come «di religione»; percentuale che, se si escludono i conflitti intrapresi dal mondo islamico, scende ad appena il 3%. Gli autori di questa accurata ricerca, Charles Phillips e Alan Axelrod, hanno pertanto concluso che:
Le guerre sono sempre sorte, e sorgono anche oggi, sulla base di controversie territoriali, rivalità militari, conflitti etnici e tentativi di trarre vantaggi commerciali o economici. Sono sempre dipese, e dipendono anche oggi, da orgoglio, pregiudizio, coercizione, invidia, cupidigia, competizione e ingiustizia.
Significativamente, l’odio religioso non viene menzionato […] Per questo, la saggista britannica Karen Armstrong, dopo essersi interrogata sul ruolo della religione nella violenza, ne ha ricavato un corposo volume dove, esaminata la storia bellica dalla civiltà sumera fino agli attentati dei fondamentalisti islamici dei nostri anni, è approdata alla conclusione che, in realtà, gli scontri e le crudeltà abbiano per lo più alle spalle motivi politici ed economici anziché teologici, chiarendo come insistere con l’immaginare la religione alla base delle guerre denoti una visione delle cose «essenzialmente anacronistica» […]
Si è infatti scoperto come, più che il conflitto, le credenze religiose favoriscano la cooperazione, inclusa quella interreligiosa; e lo si è scoperto − a proposito di una guerra sanguinosa come il conflitto israelo-palestinese − andando a studiare l’atteggiamento di oltre cinquecento giovani palestinesi rispetto alla possibilità di poter trarre o meno in salvo le vite di alcuni bambini israeliani: al rafforzamento di un’ottica religiosa è corrisposto un atteggiamento più altruista.
Altri studi su cristiani, ebrei, islamici e induisti hanno confermato come la fede in Dio sia associata non già allo stimolo, bensì al contrasto della tensione religiosa. Ma soprattutto, il dato notevole emerso dalla ricerca è che, ovunque l’evidenza colleghi aspetti specifici della religione con l’aggressività e la violenza, tali aspetti, semplicemente, non risultano in nessun caso esclusivi della religione; piuttosto, si tratta semplicemente di varianti confessionali di più generali processi psicologici. Che la dimensione religiosa generi violenza è insomma una tesi dalle basi quanto mai fragili.
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